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"Sapienza Divina"

 
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GNOSI
di Paolo GALIANO

 

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Questo articolo, apparso sulla rivista “Simmetria” n° 2 del 2001e qui riproposto in una versione riveduta ed ampliata, costituisce il completamento di un saggio dello stesso Autore, “Le vie della Gnosi” ed. Simmetria, Roma 2001, nel quale si affronta il tema della possibile esistenza di una Gnosi cristiana, che ha per fonte originaria il Cristo e attraverso i suoi discepoli viene trasmessa in modo legittimo e continuativo ai loro successori.

Dopo aver brevemente esposto l’architettura del pensiero gnostico nei suoi elementi fondamentali, viene trattato in modo sintetico, ma sufficiente ad un primo approccio a questo mondo così vario e complesso, il contenuto delle principali scuole gnostiche appartenenti a quella che si può definire per la sua localizzazione geografica “gnosi siro-alessandrina”, per distinguerla da un secondo modello, “gnosi iranica”, per sottolineare la completa estraneità dell’una dall’altra, ovviamente considerate nella loro forma più pura.

Per gli autori moderni la gnosi è essenzialmente un soggettivismo esasperato che  traduce il bisogno del singolo individuo della nostra epoca di recuperare quella identità che i processi di massificazione e di globalizzazione hanno distrutto. Da costoro il vero contenuto della gnosi viene ridotto ad uno psicologismo modernista che tenta di dare uno stato di credibilità a un individuo disconnesso nelle sue parti. Ma che cosa è in realtà gnosi?
Lo gnosticismo si presenta con una tale complessità di manifestazioni che per poter arrivare ad una definizione sarà necessario premettere un breve excursus sui contenuti dello gnosticismo: l’approfondimento dell’argomento potrà essere fatto dagli interessati sul testo dello Jonas, che anche se del 1961 nella sua prima edizione (anteriore quindi alla pubblicazione dei testi di Nag Hammadi, completata solo nel 1977) rimane l’opera cardine di riferimento, ed è da essa (Jonas pagg. 62 – 113) che attingeremo la maggior parte delle considerazioni sull’argomento.

  1. caratteristica basilare del pensiero teologico gnostico è il dualismo tra un Dio di Luce e un Dio di Tenebra, come tra il Dio, di per sé inaccessibile e inconoscibile, e l’uomo. Il creato è una manifestazione realizzata dal Dio di Tenebra o da potenze inferiori in qualche modo emanate dal Dio, dette Arconti o Eoni, le quali hanno sede nei cieli che circondano la terra (il sistema gnostico è tolemaico), che possono essere da otto (i sette cieli planetari più la sfera delle stelle fisse) fino a 365. 
  2. l’uomo è composto da tre elementi, una scintilla divina che è lo pneuma o spirito, sottratta in qualche modo al Dio dagli Arconti e rinchiusa nella prigione terrena, mentre le altre due componenti, la psiche ed il corpo, sono state create dagli Arconti per impedire allo pneuma di ri-conoscersi come non appartenente a questo mondo; la psiche in particolare è un aggregato di passioni derivanti ciascuna da uno dei cieli arcontici. Lo pneuma, immerso nel mondo e offuscato dal velo della psiche e del corpo, è ignorante della sua vera origine e per liberarsi dalle catene della materia necessita della conoscenza della sua vera origine, e questa conoscenza è la gnosi. In base a questa tripartizione dell’essere umano gli gnostici distinguono gli uomini in tre categorie: gli ilici, gli psichici e gli pneumatici, cioè gli gnostici stessi in quanto detentori della pienezza dello pneuma.
  3. per potersi salvare l’uomo pneumatico deve quindi conoscere il Dio, che è però di per sé inconoscibile: da qui la necessità di un Mediatore che risvegli nell’ uomo addormentato o intorpidito la realtà di sé. Il Mediatore, in molti sistemi gnostici già generato prima della creazione degli Arconti, discende dal cielo più alto per portare la conoscenza a chi è destinato a salvarsi: questa conoscenza è sia la riscoperta di sé come parte di Dio, sia l’insegnamento delle tecniche necessarie per superare i cieli e vincere gli Arconti; le tecniche consistono sia di riti sacramentali necessari alla liberazione da psiche e corpo sia di formule di passo e di “sigilli” per oltrepassare le sfere celesti e costringere gli Arconti ad aprire le porte di ciascuna di esse.
  4. poiché gli pneumatici sono separati dagli altri uomini, la loro morale si basa sulla concezione che il mondo e tutto ciò in esso contenuto sia ostile alla progressione dello gnostico nel suo viaggio di ritorno alla “casa” originaria. Da qui un duplice atteggiamento: o la più stretta osservanza di rigorose astensioni da tutto ciò che è carnale per evitare ulteriori contaminazioni psichiche o, al contrario, la più totale libertà di comportamento, considerato che le leggi sono “di questo mondo”, essendo state create dagli Arconti o da un Dio malvagio (in genere identificato con lo Jahweh del Vecchio Testamento) per imprigionare lo pneuma. Questo bipolarismo di ascetismo e libertinismo ha in ogni caso lo stesso scopo: contrastare il potere arcontico per liberare lo pneuma.

 

DEFINIZIONE DI GNOSI

Ora che siamo in possesso degli elementi basilari per comprendere il fenomeno gnostico possiamo tentare di darne una definizione esaustiva, per quanto ciò possa essere possibile trattandosi di un fenomeno così vasto nel tempo e nello spazio e così sfaccettato nel pensiero di tanti maestri.
Dall’inizio degli studi sullo gnosticismo si è dibattuto a lungo se esso andasse considerato una forma sincretistica di pensiero di origine prevalentemente giudeocristiana, ellenistica, egiziana, iranica o generalmente orientale, prevalendo nella risposta a tale domanda l’impostazione personale del singolo autore. E’ solo nel 1932 che con Jonas viene riconosciuto allo gnosticismo il carattere di una religione vera e propria, certamente più o meno intessuta di prestiti provenienti da parti diverse ma pur sempre autonoma ed originale nelle sue formulazioni, considerata “un organismo vivente e non un fossile archeologico… animato da una concezione dualistica che oppone il corpo allo spirito, questo mondo di tenebre al mondo di luce… Lo gnostico è lo straniero per eccellenza, l’alieno gettato ad esistere in un cosmo che gli è estraneo… alla ricerca di una conoscenza salvifica (che) gli si rivelerà come una chiamata dall’ alto, un grido che lo ridesterà” (Filoramo pag. 22).
Nel 1959 Grant confermerà nel suo Gnosticismo e cristianesimo primitivo l’interpretazione di Jonas: “Lo gnostico conosce e non perché egli abbia gradualmente imparato ma perché gli è stata data una rivelazione; lo gnostico non crede, perché la fede è inferiore alla gnosi, e la sua gnosi è in sé redenzione perfetta. Lo gnostico è quindi centrato su di sé, la visione gnostica della vita è un’ appassionata soggettività. Lo gnosticismo è una religione che salva mediante la conoscenza e la conoscenza è essenzialmente conoscenza di sé, riconoscimento dell’ elemento divino che costituisce il vero sé” (Grant pagg. 19 – 21).
Si può così affermare l’esistenza di uno gnosticismo originale e indipendente dalle forme culturali e/o religiose a cui può avere attinto nel suo processo di crescita: “Per quanto in qualche modo predisposto o prefigurato dal complesso e mobile terreno del sincretismo ellenistico, per quanto debitore in modi diversi e non sempre facilmente valutabili di diverse e divergenti tradizioni culturali, per quanto legato in forme non ancora del tutto chiarite a determinati ambienti che, come il giudaismo della diaspora, devono aver svolto una funzione di collettore o, come la tradizione filosofica classica, in particolare platonica, hanno fornito strumenti di analisi e quadri mentali di organizzazione e spiegazione del mondo divino indispensabili, lo gnosticismo del II secolo appare, nella sua variegata realtà, il frutto originale di una pianta ricca di numerosi succhi vitali” (Filoramo pag. 228).
Il consenso degli studiosi venne alla fine concretizzato in due brevi proposizioni al Congresso Internazionale di Messina sullo gnosticismo del 1966, in cui si stabilì (in Filoramo pag. 223) di adoperare il termine “gnosi” per designare una conoscenza dei misteri divini riservata ad una élite, “gnosticismo” per indicare un fenomeno storico determinato, i sistemi gnostici del II secolo.
Possiamo forse ampliare la definizione di Gnosi dando maggior risalto agli elementi principali che la costituiscono e a nostra volta azzardare una definizione nel modo seguente:
La gnosi è una conoscenza riservata agli eletti ottenuta per rivelazione tramite un Mediatore e propiziata da tecniche preparatorie e dal sigillo di un rito: essa è conoscenza di sé come frammento separato della Divinità, che mediante tale conoscenza a Lei si riunisce.
Lo gnostico per congiungersi alla Divinità deve attraversare e quindi conoscere le manifestazioni mediante le quali il principio spirituale per autogenerazione di entità sempre più distanti dallo spirito e vicine alla materia ha generato il cosmo: quindi la gnosi è anche conoscenza del cosmo nella sua totalità.
Poiché il mondo della materia impedisce al principio spirituale di ri-conoscersi come frammento della Divinità, esso è da considerare malvagio o comunque ostile allo gnostico e quindi va rifiutato integralmente o almeno superato.

 

I MAESTRI GNOSTICI

Avendo posto dei punti di riferimento con la definizione di gnosi, sarà utile trattare di alcune delle più importanti scuole, per esaminare il contenuto e le modalità di sviluppo dei principi generali ora esposti. Osserviamo subito che da nessuna scuola ci è pervenuta una qualche sorta di “catechismo” in cui la dottrina del Maestro sia stata esposta in modo accurato e completo, ed inoltre non ostante la ricchezza dei testi riscoperti a Nag Hammadi alla metà dello scorso secolo nessuno di essi porta scritto nel titolo nome e cognome dell’ autore, sì da poterlo attribuire all’una o all’altra scuola (anche se per alcuni di questi, quali il Vangelo di verità e il Vangelo di Filippo,l’attribuzione ai valentiniani è quasi certa – Filoramo pag.29).
Dovremo pertanto presentare (1) per ciascuna scuola quelle idee che con il comune consenso degli studiosi sono loro attribuite: tra la infinita congerie di scuole e di sette di cui ci sono pervenuti i nomi (2) (forse in alcuni casi si tratta solo di sinonimi della stessa scuola) tratteremo solo le più importanti, le quali, non a caso, spesso si ricollegano direttamente  o indirettamente al cristianesimo che nello stesso periodo di tempo si stava organizzando come dottrina. Non solo in alcune di esse troviamo ripreso il ruolo del Cristo come salvatore disceso dall’Alto, ma in taluni casi, quali quelli di capiscuola come Basilide  Valentino e anche Carpocrate, viene dichiarata la discendenza diretta dagli Apostoli: che ciò sia in qualche modo realtà o fictio per reclutare discepoli tra i veri cristiani, in ogni caso in questo troviamo la traccia di rapporti tra protocristianesimo e gnosticismo, di cui tratteremo nell’ ultimo paragrafo.
a) Simon Mago: noto fin dagli Atti degli Apostoli (cap. VIII) come “mago” samaritano contemporaneo di Pietro,  di questo caposcuola ci sono pervenute tre diverse versioni della sua teoria, tanto da indurre a pensare a tre personaggi aventi lo stesso nome che abbiano agito in Samaria per un periodo di tempo compreso all’ incirca tra il 50 ed il 100 d. C.
            Per Simone il Padre di Tutto produsse in qualche modo un Primo Pensiero o Ennoia, che è di sesso femminile e dalla quale sono generati gli Angeli; questi la trattennero sulla terra per invidia del Padre rinchiudendola in corpo umano e costringendola a prostituirsi finchè il Salvatore, in questo caso lo stesso Simone, che nelle successive versioni della dottrina si identifica con lo stesso Padre, non la riconobbe nel corpo di una donna di nome Helena e la sottrasse agli Angeli riportandola nel Cielo superiore, aprendo così la via agli uomini per la loro salvezza.
Nelle successive redazioni il mito di Simone si arricchisce di elementi filosofici di origine ellenistica e forse anche ermetica:  “Questa Potenza (originaria) è una, separantesi verso l’alto e verso il basso, generatasi da se stessa, madre-padre di se stessa, unità, origine di tutto” (Ventura pag. 15).  Lo Spirito ed il Pensiero generati dalla prima potenza a loro volta generano lo Pneuma o Logos, che ordina l’ universo traendolo dal caos e generando a sua volta altre coppie, Voce e Nome, Ragione e Riflessione.
Il mondo come noi lo conosciamo attraverso i sensi è stato invece creato da un Demiurgo malvagio, che Simone identifica con il Dio degli Ebrei, e che l’uomo pneumatico deve vincere per liberarsi dalla materia e tornare alla Potenza da cui è disceso, identificandosi o comunque riconoscendo in Simone l’incarnazione di tale Principio.
Come si vede, già in Simone sono presenti tutti gli elementi che abbiamo posto come essenziali nella nostra definizione di gnosi: la Potenza che è al di là del conoscibile e il Pensiero che di questi rappresenta la forma femminile, quindi potenza come possibilità di potenza e potenza in atto; il Demiurgo “invidioso” creatore dell’ universo materiale; il ritorno dello pneumatico alla Prima Potenza grazie all’azione di un Salvatore.
I successori di Simone, in particolare Menandro, proseguirono la speculazione del Maestro arricchendola di elementi sempre più complicati (abitudine comune a tutti gli epigoni dei maestri dello gnosticismo) ma non di identificarono come Simone con la Prima Potenza, scegliendo il ruolo di “annunciatori del messaggio”: si apriva così la via per un recupero del ruolo del Cristo (3) in ambito gnostico.
b) i Naasseni o Ofiti: questa scuola (naas in ebraico equivale al greco ofis, cioè serpente) assume una particolare importanza in quanto la sua dottrina venne probabilmente scambiata da Celso per quella dei cristiani ortodossi; Origene ribatté nel Contra Celsum (4) le accuse dell’autore romano nel suo Alethè logos, consentendoci così non solo di conoscere bene gli Ofiti, ma anche tramandandoci la notizia di un “Diagramma” (Fig. 1)cioè una rappresentazione grafica del loro pensiero, che forse costituiva un vero e proprio mandala di meditazione, analogo a quelli dei cristiani noti come Nazareni (da non confondere con la setta giudaica) che ci sono pervenuti in forma di mosaici pavimentali nelle loro chiese di Nazareth (5), riportati nel saggio su Le vie della Gnosi già citato.

Fig. 1
Il Serpente presenta presso gli Ofiti i caratteri tellurici e negativi di potenza malvagia, e nulla ha a che vedere né con l’Ouroboros ermetico né con la identificazione, fatta dai cristiani, del serpente di bronzo innalzato da Mosè per sanare gli ebrei nel deserto con il Cristo innalzato sulla croce a salvare gli uomini.
Negli Ofiti la figura trinitaria è più chiara che non in Simone, dove si ha una Potenza, un Pensiero o Ennoia ed un Logos; il Libro di Baruch, testo principale della scuola, presenta all’ origine tre princìpi: il Padre Buono, Elohim, o Padre di tutto ciò che è creato e Eden, che è metà donna e metà serpente (cioè parte psichica e parte tellurica). Elohim si unisce a Eden e nascono ventiquattro Angeli, dodici spirituali come il Padre e dodici psichici e tellurici come la Madre: ma Elohim, dopo l’ iniziale innamoramento per Eden, sente il bisogno di tornare al Padre Buono e la abbandona, e per vendicarsi Eden scatena i suoi Angeli e ordina al terzo di essi , Naas, di ingannare gli uomini per trattenere sulla terra lo pneuma che Elohim ha dato loro.
Per salvare gli uomini Elohim invia come suo messaggero Baruch, che combatte Naas rivelando a Gesù, il figlio di Giuseppe e Maria (quindi semplice uomo), il messaggio di Elohim e la via di salvazione.
Caratteristiche del sistema ofitico sono l’introduzione esplicita di una Triade Padre-Padre-Madre e l’utilizzo di concezioni planetarie di provenienza orientale: i dodici Angeli di Eden sono lo Zodiaco, la terra è circondata dalle sette sfere planetarie al disopra delle quali sono posti altri cinque cieli appartenenti all’ambito del Padre Buono; nello spazio che divide i sette cieli inferiori dai cinque superiori è posto a guardia il Grande Serpente, il Leviatano, simbolo di Naas.
Lo gnostico per attraversare  i primi sette cieli deve prima abbandonare il corpo nella zona sublunare che è detta aura terrestre, una zona tra Terra e Luna posta sotto la sorveglianza dell’Angelo Behemoth (6), per poi abbandonare la psiche nell’ottavo cielo, il Cielo di Fuoco che è il Paradiso Terrestre, e salire al Padre come pneuma purificato.
c) Basilide: insieme a Valentino e a Carpocrate costituì una sorta di “scuola di Alessandria” a cui la Chiesa contrappose la scuola teologica rappresentata da Panteno, Clemente ed Origene; fu il primo a far entrare in modo evidente nel mondo gnostico, anche se notevolmente adattati alla sua metafisica, concetti propri della religione egiziana: il concetto di Nulla primordiale come principio del tutto e quello dello sperma come materia della creazione, che in ambito greco e poi cristiano diverrà, modificato, il Logos spermatikos.

Ambedue i concetti derivano quasi certamente dalla teologia eliopolitana (7): il Nulla, un Ente che è pura Potenza, e il Dio che da esso si autogenera sono confrontabili con il Nun, l’Oceano Primordiale da cui nasce Râ, così come la creazione mediante lo sperma della Divinità sembra derivare dall’ analogo atto creatore di Ra avvenuto tramite masturbazione.
Da questo Nulla basilidiano si genera da se stesso il germe del tutto, il Dio incomprensibile, che pone nel caos primordiale il suo seme: da questo sperma divino nascono, senza intervento di alcuna divinità femminile (queste sono del tutto assenti nella gnosi basilidiana) tre Filialità: la prima, fatta di materia sottile e di puro pneuma, ritorna al Padre, la seconda, opaca ma fornita dello pneuma, riesce a salire al cielo immediatamente sottostante, ma deve abbandonare la sua parte pneumatica nel cielo inferiore, la terza, più pesante e necessaria di purificazione, rimane imprigionata nel seme cosmico rimasto.
Da questo seme si genera il Grande Arconte, il quale crede di essere egli stesso Dio e crea il mondo etereo che è l’ottavo cielo delle stelle fisse, divenendo Signore dell’Ogdoade. Successivamente lo sperma residuo genera un altro Arconte, il quale, credendosi anch’egli Dio, crea i sette cieli planetari e quindi anche la terra, e prende il nome di Signore della Ebdomade.
Ambedue gli Arconti creano non per invidia, come nella gnosi ofitica, ma per ignoranza della loro dipendenza dal Dio inconoscibile. Lo spazio al disotto dell’ottava sfera o cielo viene da Basilide riempito da angeli minori, portando così a 365 il numero totale dei cieli.
La Terza Filialità rimane imprigionata nel mondo terrestre: solo quando essa potrà risalire al di sopra dell’ ottavo cielo e riprendere il posto che le è proprio sotto la Seconda Filialità, cioè quando tutto lo sperma creatore sarà completamente reintegrato nel Dio, nascerà l’ armonia e cesserà la sofferenza del cosmo.
Per realizzare ciò, il Grande Arconte, venuto a conoscenza del suo errore di credersi il solo Dio, invia sulla terra il Cristo, il quale con la sua passione (apparente e non reale come nella dottrina cristiana) ritorna alla Prima Filialità indicando alla Terza Filialità la via da seguire.
Come si ottiene questo? L’errore dei due Arconti era stato voler creare per ignoranza con la loro potenza, costruendo così un mondo imperfetto: per non ripetere lo stesso errore l’uomo non deve generare con il suo sperma, ma non può nemmeno trattenerlo perché lo sperma contiene la forza vitale che è la Terza Filialità, da cui la necessità di liberarsi dallo sperma ma senza l’intento tracotante di volere creare come un Dio. E’ chiaro che una simile teoria non poteva che attirare le accuse più ignominiose su Basilide ed i suoi seguaci, anche perché vi furono epigoni che portarono alla più totale degenerazione il pensiero del maestro, approdando ad uno sfrenato libertinismo e ad usanze sessuali quali quelle dei Barbelognostici.
Un’ultima notazione prima di chiudere il discorso su Basilide: è alla sua ghematria che dobbiamo l’origine dell’Abraxas (o, secondo la Encyclopedia catholica, Abrasax), l’Angelo a capo dei 365 cieli e quindi da identificare con il Grande Arconte dell’ottavo cielo. Abraxas (Fig. 2), secondo la ghematria, dà  365, il numero dei cieli che è anche il numero dei giorni dell’ anno, a significare che è Signore del Tempo; è inoltre lo stesso numero del nome Meitras, nome dato dai greci a Mithra, divinità uranica cui compete il ruolo di creatore del cosmo (in questo caso mediante il sacrificio del toro) analogamente al Grande Arconte: Abraxas è quindi il compendio delle sette sfere planetarie come sette sono le lettere del suo nome e sette le stelle sovente raffigurate sulle così dette “gemme gnostiche”.

Fig. 2
d) Carpocrate: il fondatore di questa scuola sarebbe stato Epifanio di Alessandria, il quale asseriva di avere ricevuto gli insegnamenti gnostici dal padre Carpocrate; quest’ultimo potrebbe essere  identificato con Harpocrates, dio solare della tarda religione egiziana, figlio di Iside e di Osiride e, come la madre, “specialista” in magia. In effetti i carpocraziani, a quanto riferiscono gli autori cristiani, facevano largo uso di pratiche magiche, ma due sono le loro caratteristiche che più ci interessano (a prescindere dal fatto che ben poco ci è giunto della loro dottrina).
In primo luogo essi, riprendendo in certo qual modo le idee di Basilide, vedono nella sessualità il mezzo, o uno dei mezzi, per sfuggire al Principe di questo mondo; a differenza di Basilide, però, la spiegazione è data su basi ben diverse: poiché il Dio buono ha dato tutto a tutti in egual modo, vietare l’uso di proprietà altrui costituisce una negazione della volontà del Creatore, quindi precetti come “non fornicare”, “non desiderare la roba d’ altri” e soprattutto “non desiderare la donna d’ altri” sono la causa dell’imprigionamento dello pneuma nella materia. Il Dio che ha fatto tali leggi è un Dio malvagio, che i carpocraziani identificano con il Dio del Vecchio Testamento.

Essi appoggiavano la loro escatologia alla parabola evangelica che invita a comporre il dissidio evitando di andare in giudizio (Luca XII 58 – 59 e Matteo V 25 – 26): l’avversario che porta in giudizio chi non ha assolto il suo debito è l’Arconte, e chi deve saldare il suo debito è lo gnostico. Da quanto detto si desume come i carpocraziani si rifacessero alla teoria della trasmigrazione delle anime, perché erano necessarie molte vite per sperimentare tutte le possibili violazioni delle leggi arcontiche: Ventura mette in evidenza il rapporto tra questa dottrina e quella attribuita ad Empedocle: “Fui fanciullo, ragazza, pianta, uccello, pesce” (pag. 79).
Entrano così con  Carpocrate nell’ambito gnostico i concetti di trasmigrazione delle anime e di comunismo, poiché essi mettevano tutto in comune per seguire la legge di Giustizia del vero Padre, ed in particolare comuni erano le donne per gli uomini e, viceversa, gli uomini per le donne. Da qui alla degenerazione in puro e semplice libertinismo il passo deve essere stato breve.
Quello che per noi riveste invece il maggiore interesse è un altro aspetto della storia di questa scuola: a differenza delle altre, per le quali non ci sono pervenute che testimonianze indirette, i carpocraziani avevano tra i loro testi un Vangelo di Marco del quale facevano uso mescolandolo, come dice Clemente d’ Alessandria, “a dottrine blasfeme”, probabilmente per attrarre a loro i cristiani di Alessandria, la cui comunità era stata fondata proprio da Marco. La testimonianza di Clemente ci è pervenuta in modo assolutamente casuale, grazie al ritrovamento di un frammento di cui abbiamo trattato in altro lavoro (8), ma è fondamentale per delineare gli stretti rapporti che in Alessandria, come probabilmente in Palestina e a Roma, si erano venuti creando fra gnosticismo e cristianesimo.
e) Valentino: anch’egli, come Basilide e Carpocrate, agì nell’ ambiente di Alessandria e probabilmente nello stesso periodo di tempo (non disponiamo di dati cronologici certi per nessun autore gnostico - (9), ma a differenza di essi fu ben lontano dall’indirizzarsi verso forme teologiche estreme quali quelle libertine e comuniste dei suoi contemporanei. Egli (poco ci è rimasto di - quasi – sicuramente suo) e i suoi successori, Tolomeo e Marco, hanno rappresentato forse la scuola gnostica più vicina alla dottrina ufficiale della Chiesa, come ci testimonia uno scritto di Tolomeo giuntoci integrale grazie ad Ireneo di Lione, la Lettera a Flora, in cui si fa largo uso di citazioni tratte dai Vangeli canonici (indiretta conferma del fatto che Carpocrate potesse avere effettivamente utilizzato quello di Marco).
La teogonia e la cosmogonia valentiniane sono estremamente complicate e sarà necessario riassumerle nel modo più breve possibile.
Al principio di tutto vi è un Nulla ingenerato chiamato Propator ed in lui esiste il suo Pensiero che è Charis (se il Pensiero femminile ricorda l’Ennoia di Simone, il Nulla è invece affine a quello di Basilide): da essi nasce Nous che è il Padre di tutto l’esistente. Per successive generazioni si crea la Ogdoade, costituita da quattro coppie, ognuna formata da un Eone maschile ed il suo Pensiero che è femminile, dalla quale si genera in modo analogo una Decade di cinque coppie, che a loro volta generano una Dodecade di sei coppie: il totale dei trenta Eoni costituisce il Pleroma spirituale.
Uno degli Eoni della Dodecade, Sophia, viene colta dalla passione divorante di conoscere il Primo Ente, per cui la Dodecade caccia in basso la parte passionale di Sophia, chiamata Achamoth, che porta così in essere la materia ed il mondo.
Per riportare nell’ ordine l’equilibrio infranto da Sophia, il Secondo Eone, Nous, genera una coppia: Christos e Pneuma Agion (cioè lo Spirito Santo, che nella tradizione gnostica è femminile perché connesso al ruach, lo spirito di Dio che aleggia sulle acque del Genesi, che in ebraico è femminile). L’azione benefica di questa coppia ristabilisce l’equilibrio nel Pleroma che, divenuto un essere unico, genera Gesù il Salvatore, l’Eone il quale si dovrà incarnare nell’uomo Gesù nell’ atto del battesimo e lasciarlo prima della morte in croce per recuperare la parte di Sophia caduta in basso.
Intanto Sophia ha generato il Demiurgo, che, credendosi il Dio unico (come il Grande Arconte di Basilide), a sua volta ha creato le sette sfere o cieli planetari e tutto ciò che è psichico e fisico (lo pneuma esiste solo nel Pleroma) ed, in particolare, l’uomo. La Madre, però, deposita segretamente nell’ uomo lo pneuma, che il Demiurgo non può comprendere perché venuto in essere in un cielo inferiore a quello degli Eoni (Jonas pag. 211). Come in Basilide, troviamo gli elementi “ignoranza” e “presunzione” a caratterizzare la creazione del Demiurgo, ma nella gnosi valentiniana il Salvatore non viene dallo stesso Demiurgo, come in Basilide, bensì dagli Eoni del Pleroma.
Quando alla fine tutto lo pneuma presente nel mondo sarà stato purificato dalla gnosi, la Madre-Sophia e gli spiriti degli uomini potranno entrare nel Pleroma, ove sarà allestita la camera nuziale per il matrimonio di Gesù e di Sophia (10): con ciò la violazione originaria sarà sanata e la Pienezza del Pleroma reintegrata nella sua unità. Su questo si basa il principale sacramento dei valentiniani, cioè il Matrimonio, la cui figurazione sacramentale era il “bacio” (11): ma le considerazioni che potremmo fare su tale argomento esulano dall’ambito che ci siamo proposti.

 

RAPPORTI TRA CRISTIANESIMO E GNOSTICISMO

Dal rapido excursus sulle principali scuole gnostiche possiamo trarre alcune interessanti conclusioni: tutte queste forme di gnosticismo sorte tra Palestina ed Egitto, come risulta evidente, non presentano affatto un dualismo di base raffigurato da due Divinità, l’una di Luce e l’altra di Tenebre come, per fare un esempio, il manicheismo, maggiormente influenzato dalla religione iranica.
Ecco perché è possibile distinguere due diverse forme di gnosticismo: l’una, che Jonas definisce come gnosi iranica , è caratterizzata dalla coesistenza ab origine di due Princìpi in eterna lotta fra di loro, l’altra, la gnosi siro-alessandrina, ha un unico Dio dal quale attraverso lo sviluppo di Eoni e di Angeli si genera il Demiurgo creatore del mondo e quindi del male (visto che per gli gnostici mondo e male sono quasi sinonimi).
Tale considerazione, che prima di Jonas era stata intravista anche se non precisamente descritta dagli studiosi a lui precedenti, porta alla necessità di chiarire i rapporti tra lo gnosticismo ed il cristianesimo, che nello stesso tempo e negli stessi luoghi stava prendendo forma.
E’ lo gnosticismo un’eresia cristiana, sorta all’ interno delle controversie dottrinali e del dibattito teologico dei primi due secoli, un’ eresia cristiana i cui materiali possono sì provenire, dato il suo impianto sincretistico, dalle più diverse tradizioni religiose, ma il cui spirito affonda le radici nell’ humus dell’ annuncio evangelico? Oppure occorre rifiutare questa maschera che già alcuni eresiologi avevano gettato sul volto di una religione, la cui natura non aveva nulla a che fare con il cristianesimo, le cui origini correvano indipendenti, se non antecedenti, rispetto allo stesso annuncio evangelico che anzi, come sembrava testimoniare il caso del Vangelo di Giovanni, avrebbe potuto esserne influenzato? ” (Filoramo pag.18).
La risposta alla domanda veniva data in vario modo a seconda della provenienza intellettuale dell’ autore: “L’hegeliano Baur, fondatore della scuola esegetica e teologica di Tubinga, vide negli gnostici i primi filosofi della religione cristiana, gli iniziatori di un tipo di riflessione che doveva sfociare nella gnosi del sistema hegeliano” (Filoramo pag. 19). Nel 1886 Harnack poneva invece l’accento sui rapporti cristianesimo – ellenismo come origine dello gnosticismo: “Le concezioni gnostiche rappresentano una secolarizzazione portata al grado estremo, una ellenizzazione radicale e prematura del cristianesimo, con rifiuto del Vecchio Testamento” (Puech pag. 173).
La tesi contraria venne avanzata dalla scuola di Storia delle Religioni di Gottinga che con Bousset e Reitzenstein interpretò lo gnosticismo come “una religione non cristiana di origine orientale che (nel contempo) ha però isterilito in sé i germi vitali di quella lontana ascendenza… I temi mitologici orientali, dal volto celeste dell’ anima alle credenze nella Grande Madre… sono ormai divenuti inerti sopravvivenze” (Filoramo pag. 20). Come scrisse Reitzenstein nel 1926: “La gnosi presuppone non tanto una ellenizzazione, quanto una vasta orientalizzazione del cristianesimo” (Puech ibidem).
Ancora più tardi, nel 1932, Lietzmann confermava questa tesi orientalizzante: “Potremmo aggiungere (alla formulazione di Harnack sopra citata) che la gnosi è una regressione verso le sue origini orientali, una riorientalizzazione parimenti estrema del cristianesimo” (Puech ibidem).
Queste le principali teorie sui rapporti tra gnosi e cristianesimo prima della scoperta della biblioteca gnostica di Nag Hammadi nel dicembre 1945: se prima disponevamo solo di scarsi frammenti originali e di trattati di eresiologi cristiani che parlavano non certo in modo obiettivo dei fondatori delle scuole gnostiche e riportavano brani dei loro trattati adeguatamente vagliati dalle lenti del cristianesimo ufficiale, da allora è finalmente possibile disporre dei testi originali.
Questi hanno in pratica confermato l’esistenza di due forme di gnosticismo: “accanto ad una gnosi che sorge e si afferma sul terreno stesso del cristianesimo e da questo trae alimento, si delinea chiaramente il volto di una gnosi non cristiana. La zona di confine tra le due è tuttora terreno di aspre contese… E’ anche possibile disegnare con maggior precisione i rapporti di queste zone con gli altri continenti del mondo religioso e culturale antico: con la cultura greco-ellenistica,  soprattutto nella sua espressione platonica, col mondo giudaico, con le tradizioni orientali, in particolare di origine iranica” (Filoramo pag. 32).
Nei testi canonici del cristianesimo, nei Vangeli come nelle Lettere di Paolo e degli Apostoli o nell’Apocalisse, è possibile ritrovare elementi della gnosi; solo per fare un esempio  vogliamo qui mettere in evidenza tre temi cardine riscontrabili nei Vangeli canonici:
a) Il Cristo si pone come unico intermediario tra Dio e la creazione: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo” (Mt 11, 25-27 e Lc 10, 21-22), che può avere riscontro in Gv 3, 35 (“Il Padre ama il Figlio e gli ha dato ogni cosa in mano”), 10, 15 (“Il Padre mi conosce ed io conosco il Padre”) e 14, 6 (“Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio”); è la concezione gnostica del Mediatore, inviato dall’Alto per far ritrovare la via perduta alle anime gnostiche che possono salvarsi, necessario a collegare una Divinità considerata inconoscibile ed una creazione che si oppone alla scoperta dello pneuma nell’uomo: era sentita come indispensabile “una qualche possibilità di mediazione fra l’assoluta trascendenza divina e la natura corrotta del mondo e dell’ uomo” (Filoramo pag. 42).
Questo Intermediario è il Deuteros Theos, immagine speculare del Theos agnostos, il quale compie l’azione del secondo manifestandosi in modo comprensibile agli uomini: “è il Logos dei cristiani, il Nous dei platonici e degli gnostici… il mediatore per antonomasia” (Filoramo pag. 44); il discorso dovrebbe estendersi ai rapporti tra Logos giovanneo e Logos ermetico ma esula dai limiti che qui ci siamo prefissati.
b) Il secondo tema è il “riposo”: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi darò riposo… voi troverete riposo alle anime vostre” (Mt 11, 28-30): anche se Grant (pag. 164) vi legge soltanto un richiamo a testi giudaici (Eccl 51, 23-27: “Ponete il vostro collo sotto il giogo della Sapienza… vi ho trovato un grande riposo”) in realtà il tema del “riposo” è molto più importante nella dottrina gnostica, in cui significa il compimento del viaggio dello spirito attraverso le sfere ed il suo pervenire alla Divinità. Un frammento dei papiri di Oxyrinco recita (12): “Chi cerca non desista dal cercare finchè non avrà trovato; quando avrà trovato si stupirà e stupito regnerà e giunto al Regno riposerà”.
c) Grant (pagg. 161 – 164) riconosce solo questi due elementi di carattere gnostico nei Vangeli, anche se in realtà ne sottovaluta la portata volendo a tutta forza inquadrarli nel pensiero giudaico o giudaizzante: ignora completamente la presenza di un terzo e forse più importante elemento, cioè l’“uomo nudo” presente nell’ episodio della cattura del Cristo nel Getsemani, che trova riscontro da una parte in un  frammento ritrovato del Vangelo di Marco (13) e dall’altra in un testo gnostico, gli Atti di Giovanni cap 90 (14) : “Una volta (il Cristo) prese me, Giacomo e Pietro e ci condusse sul monte Tabor… ci andammo e lo contemplammo pregare ad una certa distanza…  mi accostai piano piano fermandomi ad osservarlo di dietro: mi accorsi che non era affatto vestito, era nudo, senza quegli indumenti che prima gli avevamo visto addosso; ma non si presentava proprio come un uomo: i suoi piedi erano più bianchi della neve, tanto che la terra stessa ne era riflessa, e la testa si appoggiava al cielo”.
La presenza di elementi gnostici nel Vangeli canonici, ed elementi di importanza non certo secondaria, consente di aprire la via a considerazioni molto importanti che potrebbero condurre alla definizione di una forma protocristiana di Gnosi (che preferiamo indicare con l’uso della G maiuscola) quale forma elitaria di reintegrazione dell’individuo in Dio, non più mediante la fede ma per conoscenza.
Una ipotesi di studio dell’argomento potrebbe venire così formulata:
Esiste una Gnosi cristiana, approfondimento della dottrina della Chiesa ma non differente da essa, trasmessa dal Cristo stesso ai discepoli capaci di penetrare nella realtà del Mistero del Regno; ad essa si accede attraverso tecniche di digiuno e di preghiera per mezzo del Triplice Sacramento di Battesimo – Cresima – Eucarestia; il suo scopo è pervenire alla conoscenza di Dio a faccia a faccia in questa vita attraverso la conoscenza dei mondi angelici divenendo uno con l’Uno.
Di questa nostra ipotesi abbiamo trattato per esteso nel saggio Le vie della Gnosi, nel quale, utilizzando i testi canonici (e sottolineiamo canonici) del cristianesimo ed autori quali Clemente d’Alessandria ed Origene, i grandi sistematizzatori del pensiero gnostico cristiano, abbiamo ritenuto di poter ritrovare non solo lo schema della Gnosi ma anche le tracce delle tecniche iniziatiche e dei luoghi in cui esse venivano effettuate.
E’ giusto che questo articolo termini lasciando la parola a Clemente d’Alessandria, autore dell’unico testo a noi pervenuto in cui sia trattato l’argomento della gnosi cristiana: “Se noi chiamiamo sapienza il Cristo e la sua operazione per mezzo dei profeti, con la quale è possibile istruirsi nella tradizione gnostica, la gnosi sarebbe dunque una sapienza, scienza e comprensione di ciò che è, che sarà e che è stato, solida e sicura in quanto trasmessa dal Figlio di Dio… E’ questa la gnosi che, trasmessa a qualcuno per successione a partire dagli Apostoli mediante una trasmissione non scritta, è pervenuta fino ai nostri giorni” (Strom VI 7, 61, 1 – 3).
E’ nostro dovere, e nostra speranza, che ciò che venne trasmesso non vada definitivamente perduto ma anzi ritorni in qualche modo alla luce.

 

NOTE

1) Per questa parte del lavoro ci siamo parzialmente rifatti al testo di Ventura cit. in bibliografia, e al quale rimandiamo per alcune interessanti considerazioni dell’ Autore sull’argomento, che non abbiamo riportato per non appesantire la trattazione.
2) Epifanio nel suo Panarion, scritto fra il 374 ed il 375, cita ottanta differenti sette gnostiche, ricostruendo un albero genealogico che le riporta tutte alla gnosi simoniana.
3) In molte dottrine gnostiche il Salvatore viene chiamato Christos, cioè l’Unto, che non sempre è da identificarsi con il Cristo del cristianesimo.
4) L’opera completa in: Origene Contra Celsum, (trad. Colonna), UTET, Torino 1971.
5) E. Testa: Nazareth giudeo-cristiana, Studium biblicum francescanum, Gerusalemme 1969.
6) Leviathan e Behemoth vengono ripresi dagli Ofiti dal Vecchio Testamento, ove rappresentano i simboli del male presenti nell’oceano ed identificati dagli esegeti con animali quali la balena o il “serpente di mare” e l’ippopotamo, ma più probabilmente esseri mitologici costruiti dal collage di differenti animali reali, come il sirrush della porta di Ishtar a Babilonia.
7) Rimandiamo per una completa presentazione della teogonia eliopolitana e la sua comparazione con quella di altre tradizioni occidentali e del Vicino Oriente al nostro saggio La manifestazione divina come Parola pubblicato sulla rivista Viator anno 2001. 
8) Esso viene sviluppato compiutamente nel saggio dello stesso Autore Le vie della Gnosi, Simmetria, Roma 2001; la pubblicazione della lettera di Clemente e la sua esegesi (dalla quale dissentiamo vigorosamente in molti punti) si trova in M. Smith Il Vangelo segreto.
9) Non disponiamo di dati cronologici certi per nessuno dei capiscuola gnostici, ma Carpocrate e Basilide erano certamente attivi negli anni intorno al 120 – 125 e Valentino fu di poco posteriore, poiché operò a Roma negli anni 140 – 160 (Storia delle religioni a cura di H. C. Puech, vol. II/1 pag. 346, Laterza, Bari 1976).
10) Nel Vangelo di Tommaso, uno dei vangeli apocrifi di contenuto gnostico, si legge: “In molti si affolleranno davanti alla porta, ma sarà il solitario ad entrare nella camera nuziale” (par. 75, in M. Erbetta Gli apocrifi del Nuovo Testamento, vol. I, pag. 276, Torino, Marietti 1975).
11) Il Matrimonio, di cui il bacio era segno visibile, costituiva uno dei cinque sacramenti valentiniani (J. Danielou Teologia del giudeo-cristianesimo pag. 126); è scritto nel Vangelo di Filippo (par. 31), opera gnostica valentiniana: “il perfetto diventa fecondo per mezzo di un bacio, e genera. Per questo motivo anche noi ci baciamo l’un l’altro e concepiamo uno dall’altro, per opera della grazia che è in noi”. Anche presso i Càtari (il cui nome significa “i perfetti”) il Bacio e il Matrimonio spirituale erano considerati sacramenti.
12) Pap Ox n° 654 (Erbetta cit. pag. 100), proveniente dal Vangelo degli Ebrei o dei Nazareni secondo Clemente di Alessandria (Erbetta cit. pag. 116) e riportato nel Vangelo di Tommaso par. 2 (idem pag. 262), dal quale differisce però curiosamente proprio per l’ assenza dell’ultima frase “giunto al regno riposerà”. Sarà utile precisare che i frammenti di Oxyrinco sono testi in lingua greca risalenti al II sec., mentre il Vangelo di Tommaso è opera scritta in copto e risalente al IV sec.: ci troviamo di fronte ad un errore di trascrizione o ad una censura del testo? Almeno un analogo caso di censura, e di un testo canonico quale il Vangelo di Marco, è stato già accertato (M. Smith cit.).
13) Vedi nota precedente; sia sulla “nudità rituale” che sull’argomento della censura, come per altri appena accennati nell’articolo, rimandiamo al saggio La via della Gnosi, passim.
14) In Erbetta cit. vol. II pag. 57: il testo, probabilmente della metà del II sec., sarebbe attribuibile ad un discepolo di Giovanni di nome Leucio.

 

BIBLIOGRAFIA
Per favorire il lettore interessato ad ampliare le proprie conoscenze sull’argomento dello gnosticismo e dei suoi rapporti con il cristianesimo e la possibile esistenza di una Gnosi cristiana nascosta tra le righe dei testi, abbiamo pensato di segnalare una Bibliografia essenziale sull’argomento a cui fare riferimento per una più approfondita conoscenza di esso:

  1. J. DANIELOU: LA TEOLOGIA DEL GIUDEO-CRISTIANESIMO; IL MULINO, BOLOGNA 1964
  2. G. FILORAMO: L’ ATTESA DELLA FINE; LATERZA, BARI 1993
  3. P. GALIANO: LE VIE DELLA GNOSI; SIMMETRIA, ROMA 2001
  4. R. GRANT: GNOSTICISMO E CRISTIANESIMO PRIMITIVO; IL MULINO, BOLOGNA 1976
  5. H. JONAS: LO GNOSTICISMO; SEI, TORINO 1973
  6. H. PUECH: SULLE TRACCE DELLA GNOSI; ADELPHI, MILANO 1985
  7. M. SMITH IL VANGELO SEGRETO; MURSIA, MILANO 1977
  8. G. VENTURA: COSMOGONIE GNOSTICHE; ATANOR, ROMA 1975

 

 

 

LA VIA DELLO GNOSTICO NEGLI STROMATA DI CLEMENTE D’ALESSANDRIA
di Paolo Galiano

(questo articolo, pubblicato sulla rivista “Simmetria” n° 3 anno 2001, è stato riveduto e corretto per la pubblicazione sul sito dell' APRMM)

La piena realizzazione della condizione di gnostico nella Gnosi del protocristianesimo ha come punto di partenza il rito battesimale del “Triplice Battesimo”, battesimo di Acqua, di Fuoco e di Spirito Santo quale ancora veniva eseguito dai giudeocristiani noti come Nazareni nel III o forse anche nel IV sec.
Questo rito costituisce solo l’inizio del percorso che occorre seguire per giungere al perfetto stato di unione con il Principio.
Abbiamo cercato di tracciare per grandi linee le possibili tappe di tale percorso e per fare questo abbiamo scelto come guida Clemente d’Alessandria il quale, in particolare negli “Stromata”, con maggior precisione degli altri autori ci ha lasciato non certo una trattazione integrale dell’argomento, ma almeno una traccia ben definita sulla quale è possibile ricostruire con sufficiente precisione la successione degli obiettivi da raggiungere.

Questo lavoro costituisce un approfondimento della nostra trattazione sulla Gnosi nel Cristianesimo, iniziata con il saggio su Le vie della Gnosi (Simmetria, Roma 2001), allo scopo di dimostrare come il Cristianesimo abbia, analogamente a tutte le altre religioni, una sua Sapienza  tradizionale della quale forse si è persa traccia o meglio, ci auguriamo,  la si è nascosta, per evitare che per diversi motivi potesse cadere in mano a persone incapaci di comprenderla e realizzarla: si pensi a quanto accadde, ad esempio, in Egitto nel primo Periodo Intermedio, quando le formule di Vita contenute nei Testi delle Piramidi (non a caso per certi aspetti analoghe a quelle adoperate in alcune forme di gnosticismo alessandrino) vennero progressivamente divulgate fino a cadere in mano alle classi inferiori.
E’ possibile individuare il momento storico di tale cesura tra il 180 ed il 200 grazie a due diverse testimonianze: la prima ci perviene dai seguaci dell’eresia di Artemone ed è riferita da Eusebio (Hist eccl V 28, 3), secondo il quale essi affermavano che “la verità della predicazione degli Apostoli si è conservata fino ai tempi di Vittore, che fu tredicesimo vescovo di Roma dopo Pietro, mentre fu alterata dal suo successore Zeffirino”; la seconda invece, molto più importante perché proveniente da ambiente ortodosso, è data da S. Ippolito di Roma.

S. Ippolito Vescovo può a buon diritto essere posto tra i principali dottori della Chiesa del suo tempo sia per il numero delle opere scritte sia per la vastità dei suoi interessi teologici, ma ciò che qui più ci interessa sottolineare è il suo eccezionale carattere di Antipapa e di Santo, due titoli solitamente tra di loro in contrapposizione ma che sono nel suo caso ampiamente giustificati.

Egli fu (forse fino all’eccesso, visto che si oppose alla latinizzazione della Chiesa, considerando gli Imperatori di Roma plagiari che avevano contraffatto per opera del demonio l’ universalità del cristianesimo - 1) uno degli ultimi difensori delle antiche dottrine della Chiesa d’Africa, direttamente derivanti dalla prima Chiesa di Gerusalemme, che contrappose a quelle della Chiesa di Roma, accusando nel IX Libro dei suoi Philosophoumena Zeffirino ed il suo successore Callisto di avere abbandonato l’autentica disciplina ecclesiastica per “ammorbidire” eccessivamente le disposizioni che ne costituivano il solido basamento.
Per tale ragione Ippolito uscì dall’ortodossia fondando una sua chiesa che conservava intatta la tradizione degli Apostoli: ad esempio nella sua Tradizione apostolica troviamo una rigorosa trattazione dell’esame a cui sottoporre il catecumeno che chiedeva il battesimo, esame esteso anche al genere di lavoro da questi svolto affinché non fosse in contrasto con i princìpi cristiani, e dei riti per amministrare il Triplice Sacramento (Trad apost  capp. 15 – 21); così sempre sua è una frase che esemplifica come ad esso fosse ancora legata una valenza misterica: “Se è opportuno ricordare qualche altra cosa, il vescovo la dica sotto il sigillo del segreto a coloro che hanno ricevuto la comunione” (idem cap. 21). Solo dopo il suo esilio in Sardegna, insieme con il papa Ponziano, Ippolito chiese di essere riammesso nella Chiesa e testimoniò con il martirio la sua fede.
Due testimoni così diversi, l’uno dall’interno e l’altro dall’esterno della Chiesa, ci testimoniano l’avvenuta frattura nella trasmissione della Dottrina Apostolica e quindi anche della via della Gnosi ad essa connessa: che ciò fosse motivato dalla volontà di nascondere una via da mantenere segreta (e quindi anche di censurare testi troppo espliciti, tra i quali perfino gli stessi Vangeli canonici - 2) o da una perdita della comprensione del suo contenuto presso la gerarchia ecclesiastica, fatto sta che Clemente d’Alessandria sentì la necessità di mettere per iscritto i princìpi  della Gnosi affinché il deposito a lui pervenuto non andasse perduto: “Mi prometto qui di rievocare il ricordo, sia per quanto eventualmente ci dimentichiamo, sia anzi affinché non ci dimentichiamo… ci sono (riflessioni) che erano in via di spegnersi nel mio spirito e sono proprio queste che intendo rivivificare con le mie note (= gli Stromata)”, ma non tutto egli dirà e “in parte le ometterò, con una scelta consapevole, perché provo ritegno a scrivere ciò che evitai di dire, questo perché temo che i miei lettori inciampino prendendo le cose in senso diverso dal giusto o che noi non ci ritroviamo a mettere una spada in mano ad un bambino” (Strom I 1, 14, 2 –4).
Quest’ultimo avvertimento circa il “pericolo” di non sapere adoperare correttamente il potere a cui perviene lo gnostico trova la sua esemplificazione in un passo del Vangelo di Luca, là ove i samaritani cacciano il Cristo ed i suoi discepoli che attraversavano il paese per andare a celebrare la Pasqua a Gerusalemme (Luca IX 51 – 55): Giovanni e Giacomo, adirati per il loro comportamento, dicono al Cristo: “Signore, vuoi che diciamo che scenda il fuoco dal cielo e li distrugga?” (3). Ci sembra che il brano evangelico sia sufficiente a comprendere la ritrosia di Clemente nell’essere troppo esplicito sul tema della Gnosi.

Clemente afferma più volte che la Gnosi è stata insegnata dal Cristo stesso ai suoi discepoli e da essi ai loro successori fino a giungere a lui dalla viva voce degli anziani di Alessandria: “Questa gnosi, concessa per diretta trasmissione (dal Cristo), discese solo su pochi tra gli Apostoli, tramandata senza scrittura. Perciò questa gnosi ossia sapienza va conquistata con ascetico sforzo, per appropriarsi di un abito eterno ed inalterabile di contemplazione” (Strom VI 7, 61, 3).
In una sola frase Clemente mostra l’origine divina della Gnosi, il suo carattere elitario, la via orale di trasmissione, la tecnica necessaria per giungere ad essa, anzi: per conquistarla, perché “le porte del Cielo subiscono violenza”.  
Che il Cristo stesso sia la fonte della Gnosi è affermato da Giovanni, da Paolo e dai più antichi Padri della Chiesa e così anche per quanto concerne il suo essere riservata ai soli pneumatici destinati a riceverla (4); quanto invece ora ci interessa è trovare nel pensiero di Clemente quali siano i mezzi necessari per seguire tale via e i diversi gradi che occorre attraversare per pervenire al fine ultimo, l’ “abito di contemplazione” del quale egli parla.
Clemente porta nella teologia cristiana la sua mentalità di filosofo stoico, per cui spesso pone in rapporto filosofia e cristianesimo indicando i pregi ma anche i limiti della prima, di cui rifiuta l’assolutizzazione, come nel caso dei neoplatonici, i quali consideravano il loro sistema filosofico come uno strumento di perfezione interiore.
Definiamo filosofia in senso generico non il modo di formazione dato da una singola setta ma una sapienza rettamente pratica, che procuri l’esperienza di vita. Definiamo poi la gnosi una solida conoscenza delle cose divine ed umane, una comprensione sicura e non mutabile, che abbraccia passato, presente e futuro, quella che ci ha insegnato il Signore: essa non è mutabile ad opera del ragionamento, in quanto è stata conosciuta attraverso il Figlio; e questa è eterna, quella (= la filosofia) utile solo nel tempo; una e medesima questa, le altre molte e varie; l’una priva di qualsiasi moto di passione, l’altra unita ad appetito di passione; l’una perfetta, l’altra manchevole. E’ questa la sapienza cui aspira la nostra filosofia (e) da noi sono detti filosofi quelli che amano la sapienza artefice e maestra di tutte le cose, cioè la gnosi del Figlio di Dio” (Strom VI 7, 54, 1 – 55, 2).
In tal modo Clemente distingue tra le due forme di sapienza, la filosofia umana e mutevole perché basata sulla ragione e la Gnosi divina e quindi perfetta in quanto avente la sua origine nel Cristo stesso; importante poi l’accenno a questa sapienza che “abbraccia passato, presente e futuro”: con quattro parole Clemente ci mostra il contenuto della Gnosi, cioè la conoscenza totale dell’opera di creazione di Dio, conoscenza che essendo immediata, e non “attraverso gli specchi” come scrive Paolo, comprende le tre direzioni del tempo e che noi identifichiamo con “il Mistero del Regno”, di cui il Cristo parla nei Vangeli senza che ne venga mai precisato il contenuto. Il “Regno” è la totalità della creazione, il suo dispiegarsi nel tempo e nello spazio attraverso i Cieli delle gerarchie angeliche, dal cielo più alto e più prossimo a Dio fino alla materia terrestre che ha anch’ essa i suoi Angeli, che siano Angeli degli Elementi, o Angeli delle Nazioni o ancora Angeli Custodi di ciascun singolo individuo.

Lasciamo per ora l’angelologia di Clemente e ritorniamo al discorso sulla Gnosi: distinta la pura filosofia dalla Gnosi, per evitare che il lettore possa confondere due percorsi tra di loro ben distinti, occorre soffermarsi su come essa sia giunta a noi dalla sua prima fonte che è il Cristo; per questo Clemente distingue due forme di trasmissione, l’una orale e l’altra scritta.
Della prima fa testimone l’apostolo Paolo richiamandosi ad alcune sue Epistole, in particolare ai Colossesi, ai Romani e la Ie II ai Corinti (5), facendo rilevare come l’argomento debba essere trattato a voce e non per iscritto dato il suo contenuto, secondo lo schema tradizionale della trasmissione da maestro a discepolo “da bocca ad orecchio”: “ ‘So che venendo a voi – dice l’Apostolo – verrò nella pienezza della benedizione di Cristo’: egli chiama ‘pienezza di Cristo’ quel ‘dono spirituale’, cioè la tradizione gnostica, che desidera diffondere lui presente ad uditori presenti poiché non erano cose da potersi dichiarare per lettera, ‘secondo la rivelazione del mistero, taciuto dall’eternità dei tempi e manifestato ora’” (Strom V 10, 64, 5).
La diffusione della Gnosi è sentita da Paolo come uno specifico dovere a lui affidato: “E (Paolo) dice ancora: ‘(Sono divenuto ministro della Chiesa) per l’ufficio assegnatomi secondo il disegno di Dio per voi, di realizzare in pieno la parola di Dio, il mistero rimasto nascosto dall’origine dei tempi e delle generazioni, ma che ora fu rivelato ai suoi santi’” (Strom V 10, 60, 3), mistero che a lui è stato dato per rivelazione, forse nella sua ascensione al “terzo cielo”, dottrina riservata ai perfetti, perché “non da tutti è la gnosi” (I Cor VIII, 7) ma occorre essere “congiunti strettamente nell’amore per raggiungere la piena conoscenza del mistero di Dio in Cristo, nel quale tutti i misteri della sapienza sono nascosti” (Strom V 10, 61, 3 – 4).
Dagli Apostoli la tradizione gnostica venne affidata ai loro discepoli e da questi ai presbiteri delle chiese locali in modo che il dono della dottrina non andasse perduto: “questi maestri conservarono la vera tradizione della beata dottrina; essi l’avevano accolta di padre in figlio, provenendo direttamente dai santi apostoli Pietro e Giacomo, Giovanni e Paolo. E sono giunti anche a noi, per depositare in noi quei preziosi semi dei loro antenati e degli Apostoli” (Strom I 1, 11, 3).
Come ci racconta sia pure in modo criptico lo stesso Clemente, il maestro dal quale ricevette la Gnosi fu il siculo Panteno, filosofo stoico divenuto cristiano, celebrato come santo il 7 luglio dalla Chiesa di Roma. Poche le notizie che abbiamo su di lui da Clemente negli Stromata e nelle Ipotiposi, più informato Eusebio di Cesarea il quale, nel libro V 10, 1 – 4 della Historia ecclesiastica, lo qualifica come fondatore della scuola catechetica di Alessandria, diretta dopo di lui da  Clemente,  e ricorda come egli fosse uno dei primi predicatori cristiani a giungere fino in India (per alcuni esegeti si tratterebbe in realtà dell’Arabia), dove incontrò un nucleo di cristiani che avevano ricevuto il Vangelo di Matteo in ebraico dall’Apostolo Bartolomeo.
Che l’India di Panteno fosse o meno quella attuale, rimane il fatto che in diversi passi delle sue opere Clemente parla con conoscenza dei brachmanoi e dei gimnosophistoi, cioè dei sacerdoti brahmani e degli yoghi dell’India, dimostrando così di averne informazione diretta; alcuni brani che più avanti citeremo farebbero supporre un parallelismo tra la Gnosi di Clemente ed esperienze proprie del tantra yoga, ciò che per altro potrebbe rientrare nel quadro della conoscenza tradizionale, poiché ogni esperienza spirituale è analoga ovunque essa venga realizzata, il che però non potrebbe  escludere una conoscenza diretta da parte dell’Alessandrino della religione e delle tecniche dell’India.
A fianco della trasmissione orale della Gnosi, Clemente riconosce anche quella scritta, che non a caso Origene, suo successore ad Alessandria e vissuto dopo la “cesura” di Zeffirino, ritiene quasi fonte unica della Gnosi: “Origene non riallaccia la gnosi alla tradizione orale, per lui è una tradizione esoterica, soltanto che egli pretende di trarla per intero dalla Scrittura: consisterà dunque in una esegesi della Scrittura” (J. Danielou Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Il Mulino, Bologna 1975, pag. 541).
Anche per Clemente la sapienza è celata nello scritto e deve essere interpretata da persona capace, chiamata a ciò per il suo carattere di “eletto”, acciocché, sottolinea ancora una volta Clemente, non se ne abbia nocumento a causa di un’incapacità a comprendere correttamente: “Né i profeti né il Salvatore stesso esposero i divini misteri semplicemente, così da renderli comprensibili ai primi capitati, ma parlarono in parabole… Le scritture occultano il loro pensiero per molte ragioni: in primo luogo affinché impariamo ad indagare e sempre vegliamo per la scoperta delle parole di salvezza; poi, siccome la loro intelligenza non sarebbe stata nemmeno conveniente alla totalità degli uomini, perché non ricevessero danno interpretando erroneamente quello che lo Spirito Santo aveva detto. Perciò, riservati per le persone elette e incluse tra gli ammessi dalla fede alla gnosi, i sacri misteri delle profezie sono avvolti nel velo delle parabole” (Strom VI 15, 124, 6 e 126, 1 – 2).

Come abbiamo detto, la Gnosi è sapienza e non sapienza di origine umana ma divina, tanto da identificarsi con lo stesso Cristo il quale ne è causa prima: “Se definiamo sapienza il Cristo nella sua persona e nella sua opera, attraverso la quale possiamo apprendere la tradizione gnostica, come Egli stesso la insegnò ai santi discepoli al momento della sua venuta, anche la gnosi deve essere sapienza, essa è scienza e comprensione sicura ed infallibile di ciò che è, che sarà e che è passato, in quanto tramandata dal Figlio di Dio” (Strom VI 7, 61, 1).
La via della Gnosi, essendo essa conoscenza della totalità del conoscibile ed identificandosi in ultima analisi al Cristo stesso, porta lo gnostico in questa vita e non nel post mortem alla conoscenza diretta di Dio: “La gnosi conduce ad un fine che è senza limiti perfetto, insegnandoci in anticipo lo stile di vita secondo Dio, che sarà nostro quando saremo tra dèi” (Strom VII 10, 56, 3), cioè quando lo gnostico  condividerà con gli Angeli i luoghi celesti in cui essi dimorano. Egli abita con essi nei luoghi a loro riservati, fino a conoscere la Divinità non più attraverso gli specchi, cioè con la capacità razionale, ma a faccia a faccia e direttamente nella intuitio intellectualis, come nella famosa frase di Paolo (I Cor XIII, 12): nel suo passaggio (προκοπή) attraverso gli stati di manifestazione dell’essere dai più materiali ai più sottili, stati raffigurati dagli “angeli”, egli si rende sempre più perfetto fino ad assimilarsi a Dio stesso.
Le anime gnostiche trascendono con la magnificenza della contemplazione il tenore di vita di ognuno dei santi ordini (e) sono valutate sante tra i santi. Giungono in luoghi più ameni dei luoghi più ameni e non abbracciano più la divina visione di riflesso o attraverso gli specchi, ma sono convitate allo spettacolo quanto più possibile luminoso e perfettamente puro… Questa è dunque l’attività del perfetto gnostico: essere vicino a Dio assimilandosi per quanto si può al Signore” (Strom VII 3, 13, 1 – 2) e ancora: “La perfezione dell’anima gnostica sta infatti qui: nell’essere con il Signore dove Egli è, in una posizione immediatamente inferiore” (Strom VII 10, 57, 2).
Cessata la purificazione ed ogni ministero (λειτουργία), sia pur santo e in cose sante…(gli gnostici) hanno ricevuto nome di dèi, quelli che occuperanno lo stesso trono degli altri dèi disposti come prima gerarchia sotto il Salvatore” (Strom VII 10, 56, 4 e 6), cioè i sette Angeli Primi Nati.
Il farsi uno con Dio conduce lo gnostico al luogo che Clemente definisce “del riposo” (αναπάυσις) e che dal punto di vista del tempo equivale all’ “ottavo giorno”. “Rapida via di purificazione è dunque la gnosi ed atta a provocare il ben gradito trapasso al grado superiore. Essa dunque facilmente traspone l’uomo in quella condizione divina e santa che è congenita all’anima e gli fa via via  percorrere i gradi della mistica ascesa attraverso una luce sua propria fino ad instaurarlo nel luogo supremo del riposo… Dopo aver raggiunto l’ultima perfezione nella carne passando allo stato superiore secondo i convenienti gradi, egli si affretta alla vera dimora del Signore attraverso la santa ebdomade. Ivi egli sarà, per così dire, luce ferma e stabile in eterno, assolutamente immutabile” (Strom VII 10, 57, 1 – 5).
Converrà soffermarsi su questi due concetti di spazio sacro e di tempo sacro per potere apprezzare fino in fondo la complessità del pensiero protocristiano.

Il “riposo” a cui Clemente qui e in altri passi fa riferimento è da accostare ad un loghion del Papiro di Oxyrinco 654 (linee 5 – 9): “Gesù dice: ‘Chi cerca non desista dal cercare finchè abbia trovato; quando avrà trovato si stupirà; stupito regnerà e giunto al regno riposerà’”, che ritroviamo nel Vangelo di Tommaso 1: “Colui che cerca non cessi di cercare finchè non abbia trovato. Quando troverà sarà sconvolto. Sconvolto si meraviglierà e sarà re sul tutto” (6) .
Rileviamo per inciso come, mentre il Papiro di Oxyrinco è del II sec. ed è testo originale in greco, il secondo è un vangelo gnostico della biblioteca di Nag Hammadi che, pur risalendo come contenuto alla stessa epoca, ci è però giunto in una redazione del IV sec. ed il testo integrale è noto solo attraverso una versione copta (7): questa potrebbe essere la ragione della mancanza in Tommaso dell’ultima parte concernente il “riposo”. Perdita casuale o voluta censura del testo?
Il “riposo” a cui accennano sia Clemente sia i testi citati va inteso come la conseguenza delle fasi di passaggio precedenti: cercare di pervenire allo stato di perfezione originaria in cui viveva l’anima dello gnostico prima di cadere nel mondo materiale, giungere in questo stato edenico reintegrandosi nella condizione primordiale adamica di Uomo Perfetto, essere sconvolto per lo shock psicofisico causato dal raggiungimento nello stato corporeo in cui ancora lo gnostico si trova, regnare nel cielo degli Angeli Primi Nati.
La stessa gradualità di stadi legati al superamento della condizione umana, conoscenza – stupore – pace, viene percepita da colui che pratica il tantra yoga. L. Silburn in La Kundalini o l’energia del profondo (Adelphi, Milano 1997 pagg. 113 – 116) così descrive, rifacendosi ai testi di Abhinavagupta, le reazioni provate dallo yoghi nel corso del processo di realizzazione: “A questo stadio c’è dunque soltanto uno stato di pace, una presa di coscienza di sé accompagnata da stupore (camatkara), priva di pensiero dualizzante (vikalpa). Finchè non si supera tale modalità si è solo padroni di questo centro”; attraverso il successivo passaggio, denominato udbhava (salto) o pluti (balzo) per le vibrazioni che cominciano a diffondersi per tutto il corpo a seguito della liberazione dell’Energia, lo yoghi giunge alla fase di nidra, “una sorta di assopimento che santa Teresa d’ Avila chiamava ‘sonno delle potenze’; il corpo, la volontà e la conoscenza ordinari sono intorpiditi, ma il cuore veglia”, ed infine alla espansione di kundalini nel centro superiore del brahmarandhra, rappresentato al di sopra della testa come il Fiore di Loto dai mille petali a significare l’irraggiamento, stadio definito come “turbinio vibrante” (ghūrņi), che rappresenta il compimento della via ed è pertanto analogo, con altra terminologia, al “regnare” dei testi apocrifi.
Sembra che la definizione dei passaggi nelle due vie segua un percorso analogo per le sensazioni sottili che risveglia nell’adepto: questo, come un’altra analogia che ritroveremo più avanti, fa pensare che o le due vie siano in qualche modo vicine tra di loro, pur sfruttando tecniche differenti, e quindi generino sensazioni simili, o che vi sia stata, come già dicemmo, una reale conoscenza da parte di Clemente del mondo indù nei suoi aspetti più profondi.

Esaminiamo ora il secondo argomento, la “santa ebdomade” in cui si realizza lo stato di “riposo” alla fine dell'iter gnostico.
Il significato dell’ebdomade ha le sue radici nell’ebraismo, ma anche in questo caso, come in molti altri, gli autori cristiani superano il concetto originario. L’ebdomade di cui si parla  è il periodo settimanale della creazione di Jahweh, alla fine del quale nel giorno di sabato, il settimo giorno, Egli si riposò: ma il cristiano va al di là del settimo giorno, perché il Salvatore risorge all’ottavo giorno, cioè la domenica, la dies dominica, il giorno del Signore: anche per questo Clemente distingue il “riposare” dal “regnare”, che è proprio del Cristo risorto.
Nell’ ebraismo il riposo sabbatico si ampliava nel concetto del Giubileo, secondo cui un giorno della creazione era considerato un anno dell’uomo e sette volte sette anni rappresentava un periodo di quarantanove anni a cui faceva seguito il cinquantesimo che era l’anno del Giubileo come prescritto nel Levitico (XXV 8 – 10): “Tu conterai sette sabati di anni, sette volte sette anni, la durata di questi sette sabati di anni ti farà quarantanove anni. E voi santificherete il cinquantesimo anno”. In tale anno si ha la restituzione delle terre ai proprietari, la liberazione degli schiavi e il condono dei debiti.
Nel protocristianesimo tutto ciò assume un significato non più materiale ma spirituale: il Giubileo raffigura la ri-creazione dello stato primordiale in cui tutto ritorna alla sua condizione originale, ogni anima riprende il possesso della sua “terra” di provenienza e cessa la schiavitù dal peccato perché tutti i peccati sono condonati.
Origene, ancor più del suo maestro, amplia il concetto spirituale di Giubileo in una visione cosmica: se una settimana è il simbolo della creazione di un mondo, la settimana di settimane, la “Pentecoste di anni” come egli la chiama,  è il simbolo misterioso della creazione e distruzione di una serie di mondi; l’intero eone è per Dio come un giorno: “Tutto il tempo presente è un giorno, grande dal nostro punto di vista, ma piccolo e breve relativamente alla vita di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo e delle potenze beate che sono in alto: tutto l’eone presente ha, in rapporto a loro, la stessa proporzione di un giorno degli uomini in rapporto alla totalità del tempo che è dato loro di vivere”(Comm in Matt XV 31).
Il Cristo è con la sua incarnazione, morte e resurrezione il segno della fine di una serie di secoli e l’inizio del successivo: “Gesù è apparso per distruggere il peccato affinché, dopo la consumazione di una serie di anni di giorni, un altro inizio gli succeda e Dio manifesti nei secoli successivi la ricchezza della sua bontà” (Comm in Matt idem). In tal modo il perdono giubilare di Dio si rinnova ad ogni fine di eone ed in ogni eone futuro “in modo che tutte le creature si disgustino del male e si volgano a Dio, cosicché Egli alla fine sarà amato liberamente da tutte le creature” (Danielou cit. pag. 560); la conseguenza del pensiero di Origene è che alla fine del tempo non vi sarà più peccato perché tutto sarà stato perdonato dal Padre e reintegrato in Lui, perché la creazione di universi successivi dà la possibilità alla creatura di emendarsi “anche quando la colpa è tale che essa non è rimessa né in questo secolo né nel successivo” (Comm in Matt idem).
La dottrina dei Giubilei di Origene, che giustamente Danielou definisce “il quadro vertiginoso del mistero dell’Amore creatore” (cit. pag. 559), ha come conseguenza, tra l’altro, la non persistenza dell’Inferno, ed è uno dei motivi per cui egli venne in sospetto di eresia fin dai suoi tempi e non è mai stato santificato dalla Chiesa di Roma.

La Via dello gnostico sembra per Clemente essere distinguibile in tre fasi distinte a discendere dall’alto verso il basso, come egli stesso accenna nel libro VI 15, 125, 4 degli Stromata: “Alla gnosi segue la saggezza, alla saggezza la temperanza: e si definisca la saggezza come una gnosi divina e posseduta da coloro i quali sono partecipi della natura divina, e la temperanza come gnosi mortale e propria di uomini aspiranti alla sapienza ma non ancora sapienti”.
Per intraprendere la Via gnostica occorrono tre qualificazioni: essere chiamati alla Gnosi, sapersi preparare con la conoscenza delle Scritture e saper addestrare corpo, psiche ed anima nel giusto modo: “La gnosi è data a coloro che ne sono idonei ed eletti, per il fatto che richiede speciale preparazione e addestramento, sia per ascoltare gli insegnamenti comunicati sia per regolare la propria vita” (Strom VII 10, 56, 2).
L’essere “eletti alla Gnosi” si manifesta con una predisposizione al bene, che deve però essere accresciuta e potenziata mediante apprendimento ed esercizio, per cui non tutti quelli che potrebbero pervenire alla pienezza della conoscenza gnostica in realtà la raggiungono (anche per questo “molti sono i chiamati ma pochi gli eletti”). Dice Clemente che “il sigillo della gnosi è sovrano, perché esso consta di natura (φύσις), apprendimento (μάθήσις) ed esercizio (άσκησις)” (Strom I 5, 31, 5), il che vuol dire che se la predisposizione naturale alla virtù non viene sviluppata con l’apprendimento e l’ascesi non vi è possibilità di intraprendere la Via.

In quale modo si realizzi questa via lo possiamo desumere dal Libro IV degli Stromata, il quale contiene in modo abbastanza chiaro, a saperlo leggere, lo schema dell’ascesi dello gnostico verso la meta finale; cercheremo di riassumere i dati principali suddividendoli in tre gradini.
Al primo gradino lo gnostico deve esercitarsi nella conoscenza del Vangelo e nell’applicazione delle leggi in esso contenute, leggi che però sono ancora a livello umano; in altre parole, lo gnostico deve in primo luogo essere un “buon cristiano”, conoscitore ed esecutore fedele dei contenuti della sua religione (8). Ma ciò costituisce solo l’inizio: “la perfezione di chi è nella legge sta nell’assunzione gnostica del Vangelo; così ci sarà il perfetto secondo la legge… Poi lo gnostico progredisce, senza basarsi solo sulla legge come su di un gradino, ma comprendendola e interpretandola come la trasmise agli Apostoli il Signore” (Strom IV 21, 130, 3 – 4). Ecco quindi il primo passaggio dalla condizione puramente exoterica all’inizio di una comprensione esoterica del Mistero del Regno: comprendere il perché interiore della legge, trovare l’armonia tra la parola del Vangelo, che è il microcosmo del cristiano, e la Parola che l’ha generata.

A questo punto lo gnostico è in grado di passare al secondo gradino diventando confessore e martire per la sua fede, ma qui martire è da intendere più nel significato originario di “testimone” che non in quello successivo di “colui che ha testimoniato con la sua vita”: che Clemente non stia parlando di martirio nel secondo significato è chiaramente espresso dal fatto che più avanti prosegue, come vedremo, dicendo che “tutto ciò è esercizio preparatorio”.
Ecco come scrive Clemente: “Se (lo gnostico) si comporterà rettamente e perciò con perfetta confessione diventerà martire per il suo amore, conquistandone il merito in misura maggiore rispetto alla comune umanità, ebbene neanche così giungerà ad essere chiamato perfetto, finchè è ancora nella carne. Tale privilegiata qualifica l’ha già assunta con il compimento della sua vita: allora il “martire gnostico” (n. d. A.: virgolette nel testo) giungerà a mostrare e presentare con piena validità l’opera perfetta, quando il sangue per grazia concessogli esalerà, con amore gnostico, lo spirito. Da allora sarà beato e a buon diritto proclamato perfetto” (Strom IV 21, 130, 5 – 131, 1).
Il testo, certo non molto chiaro, sembra voler dire che finchè è nella “carne” (εν σαρκί) lo gnostico non è perfetto, anche se fosse morto martire, il che lo renderebbe in ogni caso superiore agli altri cristiani: egli è perfetto grazie al “compimento della sua vita” che coincide con l’ “opera perfetta” (τό τέλειον έργον), quando dal “sangue per grazia concessogli” (εύχαριστηθέντος αίμα) esala lo spirito (πνέυμα).
Per comprendere cosa sia questo “sangue concessogli per grazia” che deve “esalare lo spirito” dobbiamo rifarci alla fisiologia del tempo secondo la quale il sangue era la sede dell’anima e della forza vitale dell’uomo: quindi “esalare lo spirito” potrebbe significare “liberare” lo spirito dalla sua sede materiale che è il sangue per dargli modo di agire al di là della corporeità.
Poiché Clemente non sta parlando del martirio come effusione di sangue, secondo noi qui egli si riferisce ad un “martirio sottile”, alla testimonianza di una prima trasmutazione ermetica della corporeità dello gnostico in vista della Via da percorrere.
Da quel momento, prosegue Clemente, “lo gnostico sarà beato e a buon diritto sarà proclamato perfetto”: questa condizione genera in lui il “timore di Dio”, che secondo le parole di Paolo (II Cor VI, 3 – 7) da lui citate “produce una penitenza salutare”, condizione che gli consente di giungere ad agire non più in vista di un fine ma per il fine in sé: “suo comportamento tipico non è l’astenersi dal male e nemmeno fare il bene per paura, ma nemmeno per la speranza di un bene promesso… soltanto il fare il bene per amore, quello che si fa per il bene in sé e per sé, deve scegliere lo gnostico… aspirare alla scienza di Dio per qualche scopo, perché questo mi avvenga e quest’altro no, non è proprio dello gnostico: a lui basta come motivo della contemplazione la gnosi in se stessa” (Strom IV 22, 135, 4 – 136, 2) (9).

Ora lo gnostico è giunto al terzo gradino della sua Via: l’aver raggiunto l’habitus di gnostico (abito ed abitudine) lo trasmuta totalmente in “gnosi vivente”, in una situazione di atarassia che lo pone al di là e al di sopra di ogni passione umana poiché ormai riveste un abito divino.
L’atto di intellezione si intensifica per esercizio fino all’attività di attenzione perseverante; e questa intellezione perseverante, fattasi sostanza del conoscente per contemperamento ininterrotto e contemplazione perenne, permane come sostrato vivente” (Strom IV 22, 136, 4). Attraverso l’ascesi esercitata ininterrottamente lo gnostico ottiene l’identificazione tra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto; questo stadio deve essere mantenuto mediante una costante attenzione nel compiere l’atto con continua perseveranza: “La prima azione buona dell’uomo perfetto consiste nel fatto che non è compiuta per utile alcuno, egli anzi giudica che bello è fare il bene e perciò la sua energia si fa buona in ogni azione nell’assunzione di un abito di bontà nell’agire. Solo così egli compirà la sua vita ad immagine e somiglianza del Signore” (Strom IV 22,137, 1), ripetendo all’inverso il percorso per cui il Signore ha fatto l’uomo “a sua immagine e somiglianza”.
Attraverso il mantenersi saldo nello stato di bene “egli più non esercita positivamente la continenza, ma è pervenuto ad uno stato di assenza di passioni nell’attesa di rivestirsi di un abito divino” (Strom IV 22, 138, 1). La costanza del mantenersi in tale stato deve essere portata oltre lo stato di veglia nella condizione di sonno: “Chi ha imparato ad amare Dio non possederà mai la virtù in modo da poterla perdere, né sveglio né in sonno… Il Signore esorta a vigilare, sì che la nostra anima neppure in sogno sia turbata mai, ma comanda di custodire anche di notte il nostro tenore di vita puro ed immacolato, in efficienza come di giorno. Questa è l’assimilazione a Dio che possiamo ottenere… Credo che abbiano chiamato la notte ευφρόνη (buona mente) perché è il tempo in cui l’anima, libera dalle sensazioni, si concentra in se stessa; è questo anche il motivo per cui le iniziazioni misteriche hanno luogo prevalentemente di notte…Quello che si dice del sonno si deve intenderlo ugualmente anche per la morte” (Strom IV 22, 139, 1 e 4, 140 1 – 2, 141, 1).
Molte sono le considerazioni che potremmo fare su questa lunga citazione ed in particolare sulla persistenza dello stato di veglia nel sonno, sulla capacità di apprendimento connessa con lo stato di sonno e sulla prosecuzione di questa condizione di “vigilanza costante” nel momento della morte, ma sono tutti argomenti che chi conosce le basi della dottrina della Tradizione ha certamente presenti.
Questo stato di “veglia nel sonno” potrebbe essere la spiegazione del lume acceso durante la notte secondo l’uso previsto nella Regola benedettina ma anche nella Regola dei Cavalieri del Tempio (si veda a tal proposito di P. Galiano La Regola primitiva dell’Ordine del Tempio Simmetria Roma 2005).
 Possiamo constatare una singolare analogia tra le parole di Clemente ed una Upanishad dell’Atharva-veda, la Mandukya-upanishad (Upanishad trad. P. Filippani Ronconi, Boringhieri Torino 1968, pag. 527 ss.), che in modo più semplice di altri testi indiani tratta delle quattro condizioni dell’Atman.
Dopo aver definito l’Atman ed il Brahman come coincidenti, il testo prosegue: “La prima condizione (dell’Atman) è Vaiśvanara (“ciò che è comune a tutti gli uomini”), la quale ha come sede lo stato di veglia… La seconda condizione è Taijasa (da tejas, la sostanza luminosa che costituisce il tessuto delle percezioni in stato di sogno), la cui sede è lo stato di sogno… Allorché l’essere dormiente non prova più desideri, non è più soggetto a sogni, allora si ha la condizione di sonno profondo. Colui che è in questo stato è divenuto uno, è divenuto sintesi di conoscenza, si è fatto beatitudine ed ha la beatitudine come campo di esperienza; la coscienza stessa è il suo strumento di conoscenza. Costui è chiamato Prājna (“conoscitore assoluto”): questa è la terza condizione. Egli è il Signore di tutto, Egli è l’onnisciente; Egli è l’ordinatore interno, matrice di tutto… Il Quarto, che… non è né conoscente né non conoscente, che è invisibile, non agente, incomprensibile, indefinibile, impensabile… pienezza di pace e di beatitudine senza dualità, questo è l’Atman (“Se stesso”)… Colui il quale così conosca, diventa puro ātman e, mediante l’ ātman  (= sé), penetra nell’Ātman (Sé = spirito universale)”.
Ci sembra che non solo i gradi presenti di veglia, sonno con sogni, sonno profondo e reintegrazione nell’Assoluto ma soprattutto il contenuto di essi, al di là delle diverse terminologie adoperate, siano singolarmente analoghi nei due contesti, tanto da riproporre la domanda che in precedenza abbiamo posto: si tratta di analogia sulla base dell’esperienza spirituale, unica qualunque sia il contesto, oppure vi è una conoscenza specifica di Clemente dei testi indiani?
Ciò che più conta, secondo noi, è vedere scorrere in modo così parallelo tradizioni distanti tra di loro nel tempo e nello spazio, a testimoniare l’unicità della Tradizione nelle sue differenti forme.

 

NOTE

  1. Si veda sulla vita e le opere di Ippolito op. cit. in Bibliografia, pagg. 5 – 26.
  2. Un esempio classico, ormai accettato da molti esegeti, è quello del brano di Marco scoperto casualmente da M. Smith e da lui trattato nella prima parte de Il Vangelo Segreto (vedi anche P. Galiano Le vie della Gnosi cit. cap. III pagg. 25 ss.).
  3. Ringraziamo N. Vox per averci ricordato il significato di questa citazione in Riflessioni sulla Gnosi e la Chiesa cattolica (in Simmetria anno 2001 n° 2 pag. 167).
  4. Le vie della Gnosi cit. cap. IV .
  5. Abbiamo trattato di alcuni aspetti della Gnosi in Paolo ne Le vie della Gnosi cit. pagg. 35 – 37, a cui rimandiamo anche per la bibliografia in merito.
  6. Ambedue i testi in M. Erbetta pag. 100 e pag. 262 rispettivamente.
  7. Idem pag. 256.
  8. Ottocento anni più tardi René Guénon esprimerà analogo parere sulla necessità per chi voglia intraprendere una Via esoterica di essere prima consolidato nell’exoterismo della propria religione. E dimostrando la sua capacità di mettere in pratica ciò che diceva agli altri, essendo di religione cattolica si fece musulmano. A buon intenditor…
  9. Come non paragonare questo al wei wu wei, l’ “agire senza agire”, della tradizione taoista?

 

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Clemente di Alessandria Stromata (trad. G. Pini), Paoline Torino 1985
  2. J. Danielou Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Il Mulino Bologna 1975
  3. M. Erbetta Gli apocrifi del Nuovo Testamento vol. I, Marietti Torino 1975
  4. Eusebio di Cesarea Storia ecclesiastica (trad. Maspero – Ceva), Rusconi Milano 1979
  5. P. Galiano Le vie della Gnosi, Simmetria Roma 2001
  6. Ippolito di Roma La Tradizione apostolica (trad. Tateo), Paoline Alba 1972
  7. L. Silburn La Kundalini o l’energia del profondo, Adelphi Milano 1997
  8. M. Smith Il Vangelo Segreto, Mursia Milano 1977
  9. Upanishad (trad. Filippani Ronconi), Boringhieri Torino 1968,

 

 

 

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