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(F. Bartoli)Il messaggio ecumenico ed olistico del templarismo gnostico

 

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Il messaggio ecumenico ed olistico del templarismo gnostico
Relatore: Prof. Fabrizio Bartoli 
(convegno Filaleti ad Ancona del 23-01-2010)

t-salomon1Il Tempio di Salomone è punto di riferimento sia per la tradizione templare che per la stessa chiesa cattolica ed anche per la massoneria, è stato poi modello per la costruzione di tanti Templi, chiese e Cattedrali per le sue misure armoniche musicali (dettate dall’Alto).
Dalla Bibbia  (Paralipomeni II, cap.2): “ … fece la casa del Santo dei Santi (debir), che era lunga 20 cubiti quanto la larghezza della casa …nella casa del Santo dei Santi fece due Cherubini scolpiti e li rivestì d’oro … le ali dei Cherubini si stendevano per 20 cubiti …”.
Ubicazione originaria del Tempio di Salomone situata nella spianata delle Moschee fu proprio la prima sede dei Cavalieri Templari nel 1118.

Perché Baldovino II, fratello di Goffredo di Buglione, dovette concedere un luogo tanto importante come la propria reggia all’interno del recinto del Tempio ad un gruppo di nove Cavalieri che venivano da regioni lontane?
Per 10 anni l’Ordine rimase, apparentemente, con pochi compiti all’interno del recinto del Monte Moriah, il monte del Tempio, senza far entrare nuovi Cavalieri.
 I Cavalieri del Tempio dovevano scavare nei sotterranei del Tempio di Salomone ancora esistenti all’epoca e forse ancora oggi percorribili, per portare alla luce importanti documenti antichi?

[Foto: Tunnel sotto la spianata del Tempio di Gerusalemme] La Bibbia ci racconta, insieme ad altre fonti ebraiche, come il monte Moriah fosse utilizzato in periodi di guerra, o di pericolo, come bunker per tesori e documenti importanti. La Mishnah ebraica (opera contenuta nel Talmud, il corpo religioso sacro per la religione ebraica) ci dice che la “tenda del Convegno” era custodita nelle cripte del Tempio con tutte le tavole di legno, i sostegni, le traverse, le colonne e gli anelli. Altre tradizioni ebraiche sostengono che l’Arca dell’Alleanza, l’altare dell’incenso, il bastone di Aronne, l’urna con la Manna e le Tavole della Legge (queste ultime contenute nell’Arca) sarebbero state nascoste, in uno dei periodi di guerra, in un vano segreto sotto una legnaia sul lato occidentale del Tempio, vicino al Santo dei Santi.


Anche nel medioevo diverse tradizioni ebraiche ci parlano di luoghi nascosti, cunicoli e tunnel sotterranei al di sotto dell’antico recinto del Tempio di Salomone.
Jehudah Ha Levi, medico e filosofo spagnolo a noi noto con il nome di Giuda Levita, non solo scrisse numerosi versi sull’Arca dell’Alleanza, ma in un trattato intitolato Cuzarì, completato intorno al 1140 d.C., raccontò anche come questa fosse stata nascosta sotto il Monte del Tempio. “Nel secondo Tempio – scrisse – fu posta una pavimentazione di pietra nel luogo in cui doveva essere l’Arca, e fu celata dietro una cortina, poiché i sacerdoti sapevano che l’Arca era stata sepolta in quel luogo”.

[Foto: Il Rotolo di Rame]

E’ stato ritrovato un documento storico di epoca antica attestante cunicoli sotterranei, è costituito dal famoso Rotolo di Rame rinvenuto tra i manoscritti ritrovati nel Mar morto (1946), a Qumran. Questo rotolo, in base ai dati oggi in possesso dei ricercatori, venne redatto dalla setta degli Esseni, un gruppo religioso ortodosso ricco di fascino e di misteri. La setta degli Esseni era vissuta per circa 210 anni, dal 140 a.C. al 70 d.C., in un insediamento vicino al Mar Morto. Il loro insegnamento “gnostico”, secondo recenti studi sembra aver influenzato lo stesso Gesù, che probabilmente aveva frequentato da giovane questa setta ebraica. Sappiamo che Ugo di Payns, il primo Gran Maestro dei Templari,  già prima del 1118 era stato a Gerusalemme (nel 1104) e al suo ritorno, nel 1108, si mise in contatto con il Monaco cistercense Stefano Harding abate del monastero di Citeaux, maestro e superiore di San Bernardo, che poi redigerà la regola dei Templari. Stefano Harding proveniente da famiglia nobile inglese, persona colta, nel monastero fece tradurre, con l’aiuto di rabbini ebrei fuggiti dalla Spagna, molti preziosi testi. Rabbi di Troyes, un erudito ebreo iniziato alle scienze esoteriche, aveva riportato dalla Spagna molti testi antichi, di derivazione islamica,  e tra essi vi erano le epistole dei Fratelli puri, considerate la summa del sapere islamico medievale e sembra siano state compiute a Bassora intorno al X secolo. I fratelli della purità sposano appieno l'ideale musulmano, secondo cui il fine supremo dell'uomo è il conseguimento della felicità, sia in questo mondo che nell'altro.

 

silvestrosecondoGerberto d’Aurillac (940-1003); divenne papa col nome di Silvestro II),  fu il più importante scienziato dell’epoca e introdusse nelle scuole occidentali una particolare attenzione per le arti del quadrivio, l’osservazione empirica e l’uso degli strumenti (p.es. l’astrolabio). Aveva studiato in Catalogna, a contatto diretto con la cultura scientifica islamica e fu soprannominato il Papa Mago.
Nella famosa scuola di Chartres, ispirata al neoplatonismo e alle regole logiche aristotelico-boeziane, si svolgono studi relativi a conoscenze di origine stoica e neoplatonica ad opera di maestri come Fulberto di Chartres (960ca.-1028) (fondatore della scuola) e Abbone di Fleury (945ca-1004), che introducono alla cultura filosofica, la quale influenzerà i Cistercensi ed i Templari.. Possiamo quindi supporre con ragionevole certezza, che i Cistercensi ed i Templari furono fortemente influenzati, dalla cultura “gnostica” e neoplatonica, che nell’ ‘800 era stata riportata in Europa, nella Spagna invasa dai Musulmani. Infatti le scuole di filosofia neoplatonica si trasferirono nel ‘500 in Siria ed influenzarono la cultura islamica.
Poi successivamente, quando finalmente la cristianità si riappropria del monte sacro di Gerusalemme, arrivano i Templari già informati dai Cistercensi, molto probabilmente attraverso documenti “gnostici” della tradizione Essena, per ricercare nuovi documenti del cristianesimo delle origini.
Furono forse ritrovati (insieme ad altri libri) i famosi “Libri della legge”, contenenti le conoscenze della legge armonica universale (parola perduta) da sempre utilizzata per la costruzione degli antichi Templi ?

Uno dei simboli adottati dai Templari è proprio l’Abraxas, come si può notare dal sigillo ritrovato, dove vi è anche la scritta SECRETUM TEMPLI.
abraxasL'Abraxas lo ritroviamo nello gnostico egiziano Basilide, il nome oscuro dato al Sommo Architetto dell'Universo: i due serpenti che fanno da arti inferiori all'essere identificano l'unione tra la componente maschile e femminile ed hanno un significato di ritorno all’unità androginia; considerare gli opposti come complementari. Il riferimento dei Templari allo gnosticismo ed anche alla sua segretezza è quindi facilmente intuibile dal simbolo da loro adottato dell’Abraxas con la scritta “secretum Templi”.

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abraxas3Troviamo il simbolo Abraxas su pietre, gemme, manoscritti e sigilli. Gnostici; Vescovi, Priori Templari, cabbalisti, massoni e occultisti si sono fregiati di tale sigillo, o strumento: chi per il riconoscimento, chi per l'operatività, e chi per entrambe. Lo ritroviamo già nel Liber medicinalis ( II III sec. ), ad opera di Sereno Damonico, medico gnostico, discepolo di Basilide (I-II sec. d.C.).
Basilide, fu maestro alessandrino del primo secolo dopo Cristo la cui scuola, a carattere iniziatico, ebbe un'ampia diffusione in tutto il bacino del mediterraneo.
Proprio nella prestigiosa Alessandria, dal 300 a.C. e fino al 420 d.C., si svilupparono studi a carattere “gnostico”, derivanti da tre grandi Tradizioni: quella egizia, quella ebraico-giudaica e quella greca neopitagorica e neoplatonica.
Dalla scuola alessandrina si formano la comunità degli Esseni, i Vangeli gnostici, i testi ermetici ecc… tutte le conoscenze che poi saranno fondamentali per lo gnosticismo, il neoplatonismo, il primo cristianesimo e successivamente per i Templari.

 


http://www.duepassinelmistero.com/_borders/Abraxa4.jpgNel 1916 C.G. Jung scrive il libro I Septem Sermones ad Mortuos, stampato e diffuso privatamente nella cerchia ristretta di conoscenti, attraverso la scrittura automatica, in uno stato di trance dove Jung si identifica con Basilide. Questo stato di possessione è preceduto da fenomeni paranormali che investono la casa e i figli dell'analista: presenze spiritiche, trilli di campanello, sogni inquietanti, che hanno termine, nel momento in cui Basilide-Jung inizia a scrivere. Forse si trattava di istanze ataviche oppure di veri e propri fenomeni psichici o forse, più semplicemente ma non meno inquietante per l'uomo razionale, dell'affioramento dell'inconscio, o porzioni inconscie, sul piano manifesto.
Dal suo libro “Septem Sermones ad Mortuos”:

“Questo è un Dio che voi non avete conosciuto, perché gli uomini lo hanno dimenticato. Noi lo chiamiamo col nome suo ABRAXAS. Esso è più indistinto ancora di Dio e del demonio.
Abraxas è effetto (Ciò che è). Niente gli sta opposto se non l‘ineffettivo; perciò la sua natura effettiva si dispiega liberamente…

Qual è il messaggio ecumenico gnostico ancora valido oggi ?
Dalle parole di Jung, padre della psicoanalisi, possiamo constatare che il Dio degli gnostici Abraxas, impresso nel sigillo Templare e considerato un “segreto del Tempio”, è un Dio impersonale che va al di là della concezione dualistica, è un “Dio metafisico”.
Esso raccoglie in sè la terra e il cielo, il sacro e il profano, l'uomo e il divino, il positivo e il negativo, il maschile e il femminile, la materia e lo Spirito, l’evoluzione e l'involuzione, l’osservatore ed il fenomeno.
Ciò è perfettamente in linea con la nuova fisica quantististica, dove ogni cosa è collegata, vi è un Campo universale … la Grande Madre …Sofia, che è matrice, rete e collegamento di tutte le cose, un intreccio (Entanglement), che non può essere definito, perché è al di là della visione duale … è incomparabile, indefinibile …è nell’ambito della pura metafisica.
Questa scintilla divina indefinibile è anche dentro di noi, Gesù insegna che: “il regno di Dio è dentro di voi  …”; Il neoplatonico Plotino (230 d.C.) ha affermato: Panta eiso” (Tutto è dentro).
Anche lo gnostico Monoimus diceva: “abbandona la ricerca di Dio … cercalo portando te stesso al punto di partenza. Impara quel che è dentro di te e che rende ogni cosa diversa e unica, e dì: “Mio Signore, mente mia, mio pensiero, mia anima e mio corpo”. Impara le fonti del dolore: gioia, amore, odio… Se riuscirai ad indagare attentamente queste materie, lo troverai in te stesso.
Conoscere se stessi, al livello più profondo, è simultaneamente conoscere Dio; questo è il segreto della Gnosi.
Tutto ciò porta a far comprendere che le grandi filosofie e le grandi religioni della storia (egizi, induisti, pitagorici-platonici, buddhisti, giudaico cristiani, islamici ecc…) …dovranno confluire per innalzarsi verso il Cielo, amalgamandosi tra loro … unendosi in una sola filosofia unificata … una sola ed unica consapevolezza universaleuna visione globale di Dio condivisa da tuttiVERO ECUMENISMO”.
QUESTA  E’  LA GRANDE SPERANZA  presente nei nostri cuori !!!

 

La Tradizione Isiaca della Grande Madre
Relatore: Avv. Piero Freddio  
(convegno Filaleti ad Ancona del 23-01-2010)

Tendiamo a parlare di tradizione “Isiaca” della Grande Madre, poiché siamo portati a ritenere ed a riscontrare come la cultura misterica sviluppatasi nel bacino del Mediterraneo assuma la figura della Dea Iside come prototipo manifesto della madre celeste, generatrice di un figlio luminoso, guida dei popoli e delle nazioni.
In realtà, approfondendo l'argomento, la questione appare assai più complessa, con mitologie che narrano di figure archetipali sempre più antiche e con racconti che rinviano a mitologie, simili od assimilabili a quelle oggetto del nostro studio, ma comunque diverse, fino a doversi perdere in terre mesopotamiche, mediorientali, iraniche, senza poterne venire veramente a capo.
Ecco allora che nasce l'esigenza di trovare non solo un metodo di ricerca e di studio che ci possa supportare, ma anche un principio guida che possa segnare dei termini sicuri lungo questo interessante ma faticosissimo percorso.
Tale metodo e principio non può che essere segnato dall'evoluzione del principio primigenio della Magna Mater quale generatrice cosmogonica, sotto varie forme e con molteplici aspetti, ma sempre e comunque madre e sposa del principio originario maschile, in tutti i piani dell'emanazione, in ogni angolo dell'Universo.
La mitologia egizia, vicina al nostro sentire e, comunque, progenitrice di ogni mitologia mediterranea, ci fornisce un significativo punto di partenza.

Proviamo ad approfondire un po' la cosmogonia kemita eliopolitana, con particolare attenzione alla linea femminile.
All'inizio di ogni esistenza era NUN, l'Oceano primordiale, dal quale emerse TA-TENEN, la prima terra, la coagulazione del caos originario, da essa sorse ATUM, prima manifestazione divina, riassumente in sé il tutto ed il nulla.
Nel prepararsi al primo atto generativo ATUM diviene ATUM-RA, principio solare di ogni azione demiurgica che, nel divenire, dà esistenza alla prima coppia divina, composta da SHU, Dio dell'Aria, e da TEFNUT, Figlia del caldo umido.
In risonanza con la natura e le qualità demiurgiche, i due primi princìpi divini danno vita alla seconda Dimensione Cosmica con la nascita del Dio maschile GEB, la Terra e del Dio femminile NUT, il cielo.
Nella ulteriore ipostasi GEB e NUT danno origine a due coppie divine: OSIRIDE - ISIDE, e SETH - NEFTYS (o NEFTI), con un atto generativo contrastato da SHU, geloso di NUT.
NEFTI, con i vestiti ed il profumo di ISIDE, riesce ad ingannare OSIRIDE e concepire con lui un figlio, ANUBIS, Dio delle necropoli, Signore della Terra Sacra; il secondo concepimento avverrà fra OSIRIDE ed ISIDE  e sarà non più carnale, ma spirituale, il figlio è HORUS, il Dio del Cielo, Signore del Sole e della Luna, Sotèr Salvatore e rettificatore dell'Umanità.
Al di là del dato storico ed identificativo delle singole divinità, emergono alcuni importanti e significativi elementi di considerazione: per la prima volta viene manifestata un'ipostasi divina in un ambito concettuale di “dualità”;  per la prima volta emerge un “contrasto” nell'ambito del flusso generativo del divenire; per la prima volta appare il concetto di quaternario; per la prima volta si struttura, almeno in una così importante e divulgata tradizione, una differenza fra generazione carnale e generazione spirituale; per la prima volta le divinità si pongono su diversi piani emanativi.
Tutti questi elementi saranno ripresi dalle cosmogonie veterotestamentarie e, sotto altri aspetti, anche da quelle gnostiche.
L'aspetto femminile delle divinità egizie è intrinsecamente connesso con la tradizione della Grande Madre che, certamente, è di per sé storicamente antecedente, ma ha la prerogativa di essere compiutamente strutturato e trasposto su più livelli di manifestazione.
Ad esempio, TEFNUT è la personificazione della prima coppia divina, NUT quella della seconda dimensione cosmica ed ISIDE l'ipostasi del femminino sacro nella simbologia del quaternario del mondo manifesto.
Prendendo a prestito qualche concetto filosofico dalla patristica medievale possiamo così affermare che  TEFNUT rappresenta la “causa causante”, ISIDE la “causa causata” e NUT la “causa formante”.
Questa differenziazione non è solamente formale, ma è sostanziale: ciascuna personificazione rappresenta l'elemento femminile su di un diverso piano ed è connaturata ad un diverso livello concettuale; e più è elevato il livello di riferimento, maggiore è la difficoltà di comprensione del significato intimo, esoterico, dell'ipostasi divina.
Trasferendo tale concetto in una dimensione cabalistica del femminino sacro, possiamo affermare che TEFNUT rappresenta l'elemento femminile nel mondo archetipale, NUT in quello della creazione e ISIDE in quello della formazione.

Esiste un aspetto terribile della Grande Madre, vita e nascita, in profondità, sono legate alla morte ed alla distruzione: la Grande Madre Ta-Urt è un mostro terrificante e divoratore, mortifera e protettiva; Ammit divora le anime che non erano presenti al giudizio di mezzanotte.
Tuttavia la figura eliopolitana di Iside ha garantito, con i suoi misteri, la rinascita e la resurrezione non solo dell'anima del faraone, ma di tutte le anime.
Possiamo quindi affermare che la sicurezza del magico successo sulla via del sole, comunicata potenzialmente ad ogni individuo, ha colmato l'angoscia primordiale rappresentata dalla Grande Madre distruttrice e divoratrice.
Il mondo sotterraneo, l'utero terrestre, inteso come pericolosa terra dei morti che il trapassato deve attraversare sia per essere giudicato e giungere al regno ctonio della salvezza e della dannazione, sia per attingere un più elevato livello di esistenza, è uno dei simboli archetipici della Madre Terribile.
Il sole tramonta ad ovest e si immerge nell'utero del mondo sotterraneo che lo divora; perciò l'occidente è il luogo della morte.
Come il tempio è il simbolo femminile e protettivo della casa, cioè della Grande Dea quale tarda evoluzione della caverna, la porta del tempio, in quanto accesso alla Dea, è il suo utero.
Non solo dunque il luogo della nascita è ovunque sacro per il femminile, ma si vede anche che esso è il centro di tutti i culti dedicati alla Grande Dea femminile come Signora della nascita, della fertilità e della morte.
Nell'Asino d'Oro di Apuleio l'iniziato ai misteri di Iside deve attraversare le 12 ore della notte, corrispondenti al viaggio notturno del sole nel mare secondo la concezione egiziana.
La più bella espressione del legame della Grande Madre con i morti è costituita dai sarcofagi egiziani, che presentano sul fondo la Dea Nut, dea del cielo, che abbraccia il morto.
Essa è la dea della rinascita, ma ha anche un carattere di morte, in quanto cielo notturno ed oscuro, identificabile con l'acqua e con l'oscurità divorante della terra.
Il femminile positivo dell'utero appare, in moltissime iconografie dell'antichità, non solo mediterranea, come “bocca”: ed è per questo motivo che al genitale femminile vengono attribuite delle “labbra”. Alla base di quest'equazione simbolica la bocca, come un utero spostato in alto, costituisce il luogo di nascita del respiro, della parola e, in buona sostanza, del Logos.
Analogamente l'aspetto distruttivo del femminile appare sovente nella forma archetipica di una bocca irta di denti.
Nel suo doppio aspetto la Grande Madre, in quanto Madre Buona, è la signora della Porta d'Oriente, la porta della nascita, in quanto Madre Terribile, essa è la signora della Porta d'Occidente, della morte e dell'ingresso negli inferi.
L'inferno ed il mondo sotterraneo, in quanto vaso della morte, costituiscono le forme del vaso utero negativo, portatore di morte, contrapposto al suo aspetto positivo, datore di vita.

Nella sua ampia e profonda fenomenologia l'archetipo del femminile, con il suo aspetto positivo e negativo, abbraccia ciò che sta in alto e ciò che sta in basso, ciò che è prossimo e ciò che è lontano: esso appare come un grande cerchio che costituisce e contiene l'intero Universo.
Sia che la sorgente mitica della vita sia l'oceano primordiale, sia che essa sia la terra od il cielo, il luogo di origine presenta un elemento costante: l'oscurità originaria.
L'oscurità della notte primordiale, mondo infero e acqua primordiale, madre di tutte le cose è il simbolo dell'inconscio dell'umanità collettiva; la coscienza illuminata dalla prima differenziazione è dunque figlia di questa profondità primordiale.
Nella mitologia egiziana di Ermopoli la natura dell'oceano primordiale, come fosse un serpente Uroboros, è rivelata dal fatto che esso circonda la terra nata da lui stesso e che, alla fine del mondo, riprende nel suo flusso primordiale ciò che da esso è nato.
Nella rielaborazione cosmogonica elipolitana si colloca la dea Iside nel contesto generativo di Hator, la grande dea madre dalla testa di mucca, e di Nut, la dea celeste, che imbeve la terra della sua pioggia-latte e porta sul dorso il dio solare.
A Nut, la volta superiore del cielo, corrisponde Naunet, la volta inferiore che, come un cielo riflesso ed inferiore, giace sotto al disco della terra: entrambe formano il grande cerchio del vaso femminile, ma la dea del cielo inferiore non è “altro” da quella superiore, bensì ne è l'aspetto infero, la parte inferiore del cerchio uroborico.
La Grande Dea è l'unità che scorre dall'acqua primordiale sotterranea e celeste, il mare azzurro su cui viaggiano le barche degli dei della luce, l'oceano circolare che genera la vita sopra e sotto la terra; tutte le acque, le sorgenti, le fontane, così come la pioggia, le appartengono. Essa è l'oceano della vita, con le sue stagioni che portano morte e vita, e la vita è nata da lei, come un figlio.
Come volta celeste copre i suoi figli come la chioccia i suoi pulcini, perciò il suo nome non era solo “la porta”, ma anche “colei che copre il cielo”.
In numerose rappresentazioni le ali tese di Iside abbracciano, coprono e proteggono Osiride e, con lui, tutti i trapassati.
La dea Nut che, dal fondo del sarcofago, abbraccia e prende in grembo i morti, è la stessa madre di morte che, in ambito cristiano, ci è nota come Pietà, come Madonna che tiene in grembo il Cristo morto, ritornato nuovamente a lei, e che nasconde in sé, come vaso primitivo e come urna, il bambino e l'adulto.
Domina qui, come ovunque, la concezione secondo cui la Grande Madre, in quanto cielo notturno, contiene in sé, ed è, cielo, terra e acqua.
Solo in seguito, con la separazione, nascono la luce, il sole a la coscienza e, con essi, anche la differenziazione.
Nella sfera matriarcale il cielo diurno è lo spazio dove il sole nasce e muore e non, come sarà in seguito, lo spazio sul quale esso domina; è il margine luminoso della vita, coperto dalla notte all'inizio ed alla fine, all'interno di esso il figlio della luce deve descrivere il suo arco di luce, che termina sempre nella morte e, sempre, prelude alla sua rinascita, in un cerchio senza fine e senza soluzione.
Solo dopo l'affermazione del mondo patriarcale, con il dominio del sole, il mattino diviene determinante come esempio della nascita del sole.
Ma anche allora, stranamente, il computo del tempo viene fatto iniziare non con il tramonto od il sorgere del sole, ma con la mezzanotte e il corso dell'anno comincia con il solstizio invernale, cioè nel periodo più oscuro e buio.
Anche in Egitto il tempo della nascita è la notte, poiché l'apparizione delle stelle e della luna è, per l'uomo antico, la nascita evidente, mentre il mattino è il tempo della morte, in cui il cielo divora i figli della notte.
Se prescindiamo dalla correlazione giorno-sole è possibile comprendere questa concezione universale dell'umanità: il sole è un figlio del cielo diurno femminile, così come la luna è figlia del cielo notturno.
Il cielo femminile è l'elemento stabile e duraturo, e l'elemento luminoso sole, luna, stelle è ciò che sorge e che tramonta, ciò che passa e che declina all'interno dell'uovo cosmico, bianco-nero, della Grande Madre.
La Grande Madre è, tuttavia, anche Signora del tempo e, dunque, del Fato. Il simbolo in cui sono archetipicamente connessi tra loro spazio e tempo è il firmamento, popolato sin dai primordi dalle proiezioni immaginarie dell'umanità.
Il fatto più significativo non è tanto che in Egitto come in Mesopotamia, in Arabia come in Cina siano state viste egualmente 28 stazioni della luna e 12 stazioni del sole, ma è che ognuna di queste proiezioni sia stata percepita come parte della vita della Grande Madre stessa, che tutto genera e comprende.
La dipendenza dalla Grande Madre di tutti i corpi luminosi ed anche delle potenze e divinità celesti, il loro sorgere e tramontare, la loro nascita e morte, la loro trasformazione ed il loro rinnovamento è una delle esperienze che unisce l'umanità.
L'avvicendamento non solo della notte e del giorno, ma anche dei mesi, delle stagioni e degli anni soggiace alla volontà onnipotente della Grande Madre; essa, adornata dalla luna e dal mantello trapunto di astri notturni, è quindi anche la dea del fato, che tesse la vita così come il destino.
La Grande Madre è la signora del tempo, in quanto signora della crescita, ed è quindi anche una dea lunare, poiché la luna e il cielo notturno sono le manifestazioni evidenti e visibili della temporalità del cosmo, ed è la luna, e non il sole, l'autentico cronometro dell'era primordiale.
La qualità temporale, così come l'elemento acqua, vanno ascritti al femminile, la cui natura fluente diviene evidente nel simbolo del flusso del tempo.
A partire dalle mestruazioni e dalla loro connessione con la luna, sino a giungere alla gravidanza, il femminile è ascritto al tempo ed è dipendente e determinato da esso più di quanto lo sia il maschile, che tende al superamento del tempo ed all'esenzione dal tempo.
Nel concetto di finitezza – infinito è dunque prevalente una presenza divina femminile, datrice di forma e di vita, così come divoratrice di morte, mentre nel concetto di atemporalità - eternità è prevalente una presenza divina maschile, solarizzante ed unificante.
Anche il mistero primordiale della filatura e della tessitura è connesso e compreso nella proiezione della Grande Madre che tesse la vita e fila la matassa del fato.
Non a caso parliamo di “tessuti” e di “legamenti” del corpo: il tessuto che la Magna Mater prepara al grande telaio del tempo è, nel microcosmo dell'utero, la vita, nel macrocosmo dell'Universo, il destino.
Le grandi dee sono dunque, in tutta la tradizione misterica occidentale, tessitrici; l'incrocio dei fili è il simbolo dell'unione sessuale: ancora oggi si parla di “incrocio” di animali o di piante.
Così il grande cerchio uroborico è anche ed innanzitutto l'utero che contiene e crea il mondo, dove ciò che è reale e manifesto riceve la forma dalla Grande Madre stessa.
Non è forse un caso che molte raffigurazioni iconografiche rappresentino la Madonna che tesse, proprio nel momento dell'annunciazione: la Vergine Maria è ancora la Grande Dea che tesse la vita del Cristo nell'utero e, contemporaneamente, nel macrocosmo, il destino dell'Umanità.
L'archetipo della Grande Madre tessitrice della vita e datrice di forma, con il tessuto corporeo di cui viene rivestito l'uomo, è sopravvissuto per molti millenni, fino alla dama che presiede e procede alla vestizione del cavaliere.
Sopravvive così il segreto aspetto occulto ed amoroso del principio femminile che, nella trasformazione spirituale, guida ciò che è terreno ed umano verso un senso superiore, illuminandolo.

La divinità femminile, come Grande Cerchio, si rivela come garante della sublimazione e della rinascita della vita.
La notte, che conduce attraverso la morte ed il sonno alla guarigione ed alla nascita, non solo rinnova la vita nel suo ciclo ma, trascendendo l'oscurità terrena, eleva la sua essenza tramite l'irruzione di forze profonde, che consentono all'umanità di raggiungere, nell'ebbrezza e nell'estasi, nella poesia e nell'illuminazione, nella profezia e nella saggezza, una nuova dimensione di spirito e di luce.
L'ineludibile aspetto spirituale del carattere di trasformazione femminile, attraverso sofferenza e morte, sacrificio e annientamento, lascia scaturire da sé la trasformazione, il rinnovamento e la rinascita: ciò che è mortale diviene così immortale.
Una simile trasformazione è legata alla totale penetrazione di ciò che deve essere trasceso nell'archetipo del femminile.
Ciò che muore nel ritorno al vaso-madre può apparire come terra, acqua, mondo infero, urna, sarcofago, caverna, calderone magico o nave, ma tutto rappresenta comunque il grembo materno della notte o dell'inconscio.
La donna è quindi la veggente primordiale, la signora delle acque profonde che danno la saggezza, delle fonti mormoranti e delle fontane, poiché l'acqua è, nella mantica, la comunicazione originaria.
Come la spada è il simbolo del maschile, la coppa lo è del femminile; il filtro magico, la pozione, l'elisir, la bevanda inebriante, il veleno, che la femmina archetipale mesce è comunque bevanda di trasmutazione, forma evolutiva dell'acqua della vita; tramite esse il maschile si eleva al livello di un'esistenza sublimata e spiritualizzata.
E' facile a questo punto il paragone con la coppa del Graal e con il calice della Messa, entrambi elementi femminili contenenti bevande trasmutatorie.
Nel calice sacro l'acqua si mescola con il vino, simbolo del sangue e dunque anch'esso femminile; nella ierogamia eucaristica l'elemento femminile della coppa viene congiunto all'elemento maschile del pane, fatto con il grano, simbolo solare, ancora oggi ben evidenziato dalla forma a disco dell'ostia.

E mentre la mitologia kemita si differenzia da quella primitiva per la strutturazione tecnica, per così dire, e logica prima ricordata, ancora diverso è l'elemento innovativo della gnosi, intendendo per ambito gnostico prettamente quello sviluppatosi, in senso endogeno, e confluito, in senso allogeno, nel corpus cristiano.
In particolare la più evidente e significativa differenza fra la mitologia egizia e quella gnostica consiste nel fatto che l'elemento femminile mantiene la funzione di generatore della divinità redentrice, nel suo aspetto manifesto e terreno, ma riveste contemporaneamente ed antiteticamente la qualità negativa di responsabile della caduta nel mondo di Maya.
In primo luogo è bene chiarire che, quando si parla di “gnosi” si fa prevalentemente, ma non necessariamente, riferimento alla religione cristiana, poiché con tale termine sono conosciuti e studiati anche dei movimenti misterici ed iniziatici sicuramente pre-cristiani ed etero-cristiani, anche se la ricerca che ci interessa si occupa, evidentemente, della gnosi cristiana, endogena ed allogena..
In secondo luogo occorre, anche qui, individuare un principio generale di approccio, stabilendo dei termini di studio e dei riferimenti che ci indichino una strada condivisa, a rischio, altrimenti, di perdersi nelle labirintiche e intricate cosmogonie eoniche settarie, risultando pressoché impossibile accordare Fibioniti, Stratiotici, Valentiniani, Levitici, Manichei, Adepti della Madre, Nicolaiti, Barbelioti, Esseni, Ofiti, Sethiani, Cucheni, Basilidiani, Perati, Cainiti, Carpocraziani.
Il principio non può che essere quello sopra individuato, ovvero sia l'individuazione delle figure simboliche femminili raffiguranti le diverse emanazioni della Magna Mater e collocate sui molteplici piani della manifestazione.
Certamente ritroviamo nella gnosi il culto della Donna divina, della Madre, dell'eterno Femminino, anche se profondamente trasformato e carico di nuove proiezioni: essa è la via fra Dio ed il Mondo ed è generalmente conosciuta con l'appellativo di “Sophia”.
In essa, però, nella cosmogonia gnostica, l'archetipo del femminile tende a perdere il suo carattere originario di dea incarnata, di Grande Madre, e si manifesta come personificazione del principio supremo spirituale, nell'ambito di un processo auto-redentivo, di conoscenza della propria realtà divina.
Nell'antagonismo duale fra mondo pleromatico perfetto e mondo imperfetto delle tenebre lo gnostico raffigura in Sophia un elemento androginico a cui imputa l'opera di creazione, come atto di insubordinazione nei confronti del Padre primordiale, del Dio supremo ed anche della gerarchia pleromatica.
Ella volle operare da sola, senza il suo compagno Cristòs, e volle attingere direttamente dall'abisso, dal deus absconditus trascendente, sconosciuto e inconoscibile.
Ella produce dunque il doppio di sé senza il concorso ed il consenso del proprio compagno, il suo pensiero divenne una realtà, ma non l'immagine del divino, bensì un essere imperfetto, un mostro non soltanto per le sue sembianze, un drago con il volto di leone dagli occhi di fuoco, fulminanti e fiammeggianti; egli sarà il creatore, il demiurgo del mondo inferiore.
Quest'opera imperfetta, inoltre, coincide con la separazione del pleroma dalle tenebre inferiori, simili alle femminili acque primordiali, ed è per questo che Sophia può essere ricondotta alla figura della Madre extra-pleromatica che genera il mondo.
L'immagine del demiurgo che si proclama Dio richiama la figura del drago mitologico ritenuto, già nelle tradizioni più antiche, la personificazione del potere dell'acqua, tanto dispensatore che distruttore di vita.
Richiamando simbolicamente la materia iniziale da trasformare e plasmare, il drago appartiene all'elemento ctonio dell'acqua, al regno materiale femminile di cui egli è il sovrano, come la sua testa di leone, ovvero la corona che spesso porta, simboleggia, nel suo aspetto negativo.
Nella concezione gnostica il mondo ha così origine da un errore ontologico: la decisione di Sophia di conoscere il Padre, il Primo Principio, allontanandosi dal Pleroma e optando, inconsciamente ma volontariamente, per la via del male e delle tenebre.
Nell'atto auto-generativo Sophia richiama la figura dell'Uroboros che interfecit se ipsum, maritat se ipsum, impraegnat se ipsum.
L'Uroboros è l'immagine psichica originaria dell'indifferenziato, ove non esiste la distinzione dei contrari, essendo la rappresentazione della coincidentia oppositorum.
In Sophia prevale però l'aspetto negativo per cui l'immagine simbolica dell'Uroboros diventa sinonimo di un mondo-cosmo fonte di caos.
Eppure questa scelta ha un profondo significato: essa rappresenta dal punto di vista animico il principio del disordine, e da quello cosmogonico il principio di separazione; ma ogni cosmogonia implica un sacrificio: dare forma alla materia significa partecipare all'energia primordiale per modificarla.
La Sophia gnostica, come l'Eva biblica, è la Madre che dà la vita, ma crea un mondo imperfetto: alla dimensione del femminile viene dunque imputata la rovina dell'Umanità.
Da Sophia, tramite il Demiurgo, hanno origine tre nature, che sono la concretizzazione e la cristallizzazione dei suoi stati d'animo: la Ribellione, da cui provengono gli irrazionali o Ilici, rappresentati da Caino; la Sofferenza, da cui hanno origine gli psichici, giusti e ragionevoli, da cui discende Abele; la Conversione, da cui discendono gli pneumatici, alla quale appartiene Seth.
Il peccato, l'errore dell'insubordinazione condanna Sophia ad essere imprigionata nella materia che ella stessa ha creato e da cui può essere redenta attraverso l'azione del suo compagno, il Cristòs Sotèr.
Cercare di afferrare ciò che è al di là della conoscenza fa cadere Sophia nell'ignoranza e nell'informità, in quel vuoto di conoscenza che viene chiamato l'Ombra del Nome, il cono d'ombra; ma nella sua infinita bontà il Padre pantocrator invia una goccia di luce infondendola nell'anima degli uomini.
Attraverso la conoscenza del Salvatore le gocce luminose, destandosi dal sonno umano, potranno ritornare al Padre, ripristinando così l'Unità originaria.
La Gnosi, portata dal Cristòs per la redenzione di Sophia e dell'intera Umanità è appunto la consapevolezza dell'Unità spirituale.
Anche l'Eone Sophia possiede molteplici piani di manifestazione: la Pistis Sophia è la Sophia fedele o divina Ennoia, la Sophia Achamot (sapienza) appartiene già al piano extra-pleromatico, la Sophia prunikos (la lussuriosa) è generatrice, mentre la Sophia Echmot (tendenza, pensiero) è la Sophia di morte
Ma è sempre attraverso il femminile, riproducente il maschile da sé, che si ritrova la forza unificatrice degli opposti che conduce alla totalità.
L'immagine di Sophia incoronata che ritorna nel Pleroma non è dissimile dall'assunzione di Maria in cielo come Regina coeli.
Quello di Sophia è dunque un mondo-cosmo caratterizzato da un potere materno, legato alla terra e per questo ctonio, oscuro e tenebroso, riflesso di quella Grande Madre che appare nel suo aspetto negativo e materiale, rispetto a quello spirituale del maschile legato al Pleroma.
Secondo una concezione prettamente junghiana questo mito gnostico è “palesemente psicologico” in quanto illustra, nella forma di una proiezione cosmica, la separazione dell'Anima femminile da una coscienza maschile orientata in senso spirituale, che anela all'assoluto e cioè alla vittoria definitiva dello spirito sul mondo dei sensi.
L'uomo di questo mondo, secondo il pensiero gnostico possiede un corpo, un'anima ed uno spirito: quest'ultimo racchiuso dai sette rivestimenti dell'anima originati dalle sette sfere degli Arconti, i governatori del mondo in cui l'uomo è prigioniero.
L'ignoranza è l'essenza dell'esistenza mondana per cui il pleroma, lo spirito è talmente soffocato dall'anima e dalla carne che è assopito, addormentato.
Esso può essere risvegliato e salvato solo attraverso la conoscenza del Dio trans-mondano e di se stesso, ovvero della sua origine divina ricevuta da Sophia, la madre extra-pleromatica.
L'anima, se da un lato costituisce il ponte verso l'al di là, dall'altro costringe l'uomo a vivere secondo la sua emozionalità, trattenendolo nel mondo ctonio e legandolo alla sua caducità.
Ma in ogni uomo è racchiusa una scintilla divina che lo unisce alla dimensione pleromatica, una scintilla custodita nella profondità delle acque interiori, dove non arriva la luce solare, ma solo un flebile riflesso lunare.
Come sappiamo le dee lunari erano considerate, nella mitologia, fonti della sapienza e della conoscenza. La luna splendente come l'argento è l'immagine del divenire, del morire e del rinascere.
In tal modo Sophia ritrova ed assomma a sé la luce e le tenebre essendo, per gli gnostici, la Sapienza Divina, la forma femminile dello Spirito Santo; in tal modo la devozione e la fede in questa sapienza può spingere l'uomo ad ascoltare la voce interna dell'anima, abbandonando la propria autonomia e rassegnandosi all'irruzione delle oscure potenze della luna, dello spirito femminile.
Attraverso la mediazione alchemica rappresentata dalla figura della Sapientia, Sophia riacquista, nel processo di redenzione, la deità dell'eterno femminino, il volto celeste della saggezza, la potenza delle forze lunari e l'espressione della forma più alta del Sé spirituale femminile, una vita che da semplicemente materiale si ritrova tutta protesa verso la totalità e l'Uno.
Nella concezione della Cavalleria sacra e, segnatamente, del templarismo la mitologia del Femminino sacro approda dopo la mediazione compiuta dall'esperienza e dagli studi di alchimia.
Tale percorso comporta, come è intuibile, una trasformazione, non certo la scomparsa, ma l'evoluzione di quello che era l'elemento negativo del Femminino sacro, ovvero l'aspetto distruttivo e divorante della Grande Madre.
Quello che nell'esperienza gnostica era raffigurato come l'emblema del male compiuto dalla Sophia decaduta, male da evitare, combattere e distruggere, nella mitologia cavalleresca templare diventa un male da trasformare.
Simbolicamente la rappresentazione torna ad essere quella del drago (elemento femminile ctonio) che insidia la dama (Sophia Ennoia) e che la spada del cavaliere deve colpire, non per distruggerlo, ma per trascenderlo e trasformarlo.
La bocca primigenia, divorante ed irta di denti, diviene un aspetto demoniaco nella gnosi, ed un drago nella cavalleria sacra.
Primo ed unico nella storia dell'Uomo il cavaliere, avendo già redento il proprio mondo materiale, riesce finalmente anche a spezzare il cerchio uroborico del mondo animico; la sua spada diviene allora fiammeggiante, proiezione del raggio luminoso salvifico che opera un vero e proprio atto trasmutatorio dell'aspetto lunare ctonio, ponendo la luna da sopra la testa a sotto i piedi, affinché l'atto di ierogamia con il femminile sublimato dia luogo all'apparizione del Cristòs Sotèr nel microcosmo di ciascun Uomo e nel macrocosmo dell'intera Umanità.


Eques a Caritate

 

 

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