Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraïm
       Sovrano Santuario Italiano



N. X Ottobre 2010

 

(C. Spalvieri)Alessandro Conte di Cagliostro


 



 

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Alessandro Conte di Cagliostro

di Claudio Spalvieri


Innumerevoli biografie hanno cercato di fare chiarezza sul misterioso avventuriero che caratterizzò il secolo dei Lumi: taumaturgo, amico dell’Umanità, cultore e divulgatore delle scienze esoteriche oppure scaltro imbonitore, avventuriero, comune ciarlatano?
Il quesito, finora, non ha avuto risposta certa: il mistero che da sempre avvolge le molteplici attività svolte da Cagliostro contribuisce a tenere vivo l’interesse su di lui.
L’enigmaticità fu e resta il suo fascino.
È pervenuta fino a noi una tradizione che ci parla di un uomo proveniente da Paesi sconosciuti. Sembra che sia vissuto in epoche indefinibili e abbia compiuto viaggi favolosi grazie ai quali sembra abbia acquisito profonde cognizioni nelle arti più nobili (alchimia, spagiria, astrologia, interpretazione dei sogni).
Solo Cagliostro – è stato scritto – sapeva chi fosse Cagliostro ed allora diamo la parola al Conte affinché sia Lui stesso a presentarSi:

“La verità su di me non sarà mai scritta, perché nessuno la conosce”.
“Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo, al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io divento colui che desidero. Partecipando coscientemente all’essere assoluto, regolo la mia azione secondo il meglio che mi circonda. Il mio nome è quello della mia funzione e io lo scelgo, così come scelgo la mia funzione, perché sono libero; il mio Paese è quello dove fermo momentaneamente i miei passi. Mettete la data di ieri, se volete o riuscendovi, quella di domani o degli anni passati, per l’orgoglio illusorio di una grandezza che non sarà forse mai la vostra”.
Io sono colui che è”.
“Non ho un padre; diverse circostanze della mia vita mi hanno fatto giungere a questa grande e commovente verità; ma i misteri di questa origine e i rapporti che mi uniscono a questo padre sconosciuto, sono e restano i miei segreti. Coloro che saranno chiamati al divenire, all’intravedere come me, mi comprendono e mi approvano. Quanto all’ora, al luogo dove il mio corpo materiale a quaranta anni si educherà su questa terra, quanto alla famiglia che io scelgo per questo, io voglio ignorarla, non voglio ricordarmi del passato per non aumentare le responsabilità già pesanti di coloro i quali mi hanno conosciuto, perché sta scritto: tu non farai cadere il cielo.
Io non sono nato dalla carne, né dalla volontà dell’uomo, sono nato dallo spirito. Il mio nome, che è mio, quello che scelsi per apparire in mezzo a voi, ecco quello che reclamo.  Quelli che mi sono stati dati alla mia nascita o durante la mia giovinezza, quelli per i quali fui conosciuto, sono di altri tempi e luoghi; li ho lasciati, come avrò lasciato domani dei vestiti passati di moda e ormai inutili.
Ma ecco sono nobile e viandante, io parlo e le vostre anime attente ne riconosceranno le antiche parole, una voce che è in voi e che taceva da molto tempo risponde alla chiamata della mia; io agisco e la pace rinviene nei vostri cuori, la salute nei vostri corpi, la speranza e il coraggio nelle vostre anime. Tutti gli uomini sono miei fratelli, tutti i paesi mi sono cari, io li percorro ovunque, affinché lo spirito possa discendere da una strada e venire verso di noi. Io non domando ai Re, di cui rispetto la potenza, che l’ospitalità sulle loro terre e, quando questa mi è accordata, passo facendo attorno a me il più bene possibile: ma non faccio che passare. Sono un nobile viandante?
Come il vento del Sud, come la splendente luce del mezzogiorno che caratterizza la piena conoscenza delle cose e la comunione attiva con Dio, così io vado verso il Nord, verso la nebbia e il freddo, abbandonando ovunque al mio passaggio qualche parte di me stesso, splendendomi, diminuendomi in ogni fermata, ma lasciandovi un po’ di luce, un po’ di calore, fino a quando io non sia infine arrivato e stabilito al termine della mia carriera: allora la rosa fiorirà sulla croce.
Io sono Cagliostro.
Perché è necessario che voi chiediate di più?
Se voi eravate figli di Dio, se la vostra anima non era così vana e così curiosa voi avevate già compreso.
Vi necessitano dei dettagli, dei segni e delle parole, dunque ascoltate. Risalite molto nel passato, poiché lo volete.
Tutta la luce viene dall’Oriente, tutto l’inizio dall’Egitto; sono stato tre anni con voi, quindi sette anni, poi l’età matura e a partire da questa età non ho più contato. Tre settenari fanno ventuno anni e realizzano la pienezza dello sviluppo umano.
Nella mia prima infanzia, sotto la legge del rigore e della giustizia soffersi in esilio, come Israel tra le nazioni straniere. Ma come Israel aveva in se la presenza di Dio, che come un Metatron lo guidava nei suoi passi, allo stesso modo un angelo potente vegliava su di me e dirigeva i miei atti, schiariva la mia anima, sviluppando le forze latenti in me. Lui era il mio maestro e la mia guida.
La mia ragione si formava e si precisava; io mi interrogavo, mi studiavo e prendevo coscienza di tutto quanto mi circondava, feci dei viaggi, molti viaggi, tanto attorno la camera delle mie riflessioni che nei templi e nelle quattro parti del mondo; ma quando volevo penetrare l’origine del mio essere e salire verso Dio, nello slancio della mia anima, allora la mia ragione impotente si taceva e mi lasciava in balia delle mie congetture.
Un amore che attirava verso di se tutte le creature in maniera impulsiva, una ambizione irresistibile, un sentimento profondo dei miei diritti a tutte le cose della terra e del cielo mi possedevano e mi gettavano verso la vita e l’esperienza progressiva delle mie forze, del loro gioco e del loro limite: era la lotta che dovevo sostenere contro le potenze del mondo, fui abbandonato e tentato nel deserto, lottai con l’angelo come Jacob, con gli uomini e con i demoni, questi vinti, mi insegnarono i segreti che concernono il dominio delle tenebre, per cui non mi smarrii in una delle vie dalle quali non c’è ritorno.
Un giorno – dopo quanti anni e viaggi – il Cielo esaudì i miei sforzi: si ricordò del suo servitore che, rivestito degli abiti nuziali, ebbe la grazia di essere ammesso come Mosè davanti all’eterno. Da allora ricevetti come un nome nuovo, una missione unica.
Libero e maestro della vita non pensai che a impiegarla per l’opera di Dio. Sapevo che egli confermava i miei atti e le mie parole, come io confermavo il suo nome e il suo dominio sulla terra. Ci sono degli esseri che non hanno più angelo custode: io fui uno di quelli.
Ecco la mia infanzia e la mia giovinezza, tali che il vostro spirito inquieto e generoso le reclama; ma che esse siano durate più o meno anni, che non si siano fermate nei Paesi dei vostri padri o in altre contrade, che importa a voi?
Non sono io un uomo libero?
Giudicate le mie abitudini, come a dire le mie azioni, dite se esse sono buone, dite se ne avete viste di più potenti e se allora vi occupate ancora della mia nazionalità, del mio rango e della mia religione.
Se, proseguendo il cammino felice dei suoi viaggi qualcuno di voi si avvicinasse un giorno a quella terra d’Oriente che mi ha visto nascere e si ricordasse di me, pronunci il mio nome e allora vedrà i servitori di mio padre che gli apriranno le porte della città santa. Poi quando ritornerà dirà ai suoi fratelli se io ho abusato fra voi di un falso prestigio, se ho preso nelle vostre dimore qualche cosa che non mi apparteneva”.
(Dalla “Memoria per il conte di Cagliostro, accusato contro il Procuratore generale” - Parigi 1786).

Ma in realtà possiamo dire che il mistero di Cagliostro è nell’immagine che ciascuno di noi porta dentro: sia quella dell’avventura, sia quella della missione di chi è chiamato a dare testimonianza della fraternità umana, producendo monete d’oro per gli affamati e balsami ai sofferenti.
La verità è che, nello stesso modo in cui nessuno ha dimostrato l’identità di Balsamo e di Cagliostro, così nessuno potrà mai asserire in coscienza che l’uomo velato di piazza della Minerva ed il murato vivo di San Leo fossero il Grande Cofto.
L’essere nato in un luogo misterioso, comunque, in oriente, forse a Medina non si può intendere come affermazione strettamente geografica.
Gli ordini monastico-militari per esempio, solo fino ad un certo punto avevano per scopo la conquista del sepolcro in oriente.
La Terra santa in linguaggio alchimistico è la concretezza della persona purificata dalle operazioni chimiche che rendono l’uomo consapevole portatore della monade di luce: dal Sepolcro all’Aurora.
L’Oriente è, dunque, uno stato interiore ove si nasce (o meglio si rinasce) da sé, con assoluta autonomia, non fisica filiazione.
Il destino di Cagliostro inizia incontrando Althotas, questi lo porta con sé per un lungo viaggio verso l’Oriente, percorrendo la stessa strada di Rosenkreutz, gli mostra quindi i monumenti della tradizione, i segreti della conoscenza, lo fa entrare nei cenacoli che ancora conservavano la tradizione magica della Caldea, la scienza dei Magi, lo fa entrare in contatto con la tradizione islamica, soprattutto quella del Vecchio della Montagna e della Setta degli Assassini, gli mostra il vero volto della Sfinge, così come gli svela il segreto della Piramide, “aprendogli” in sogno i libri magici di “T” e di “M”, che i saggi orientali già fecero leggere al giovane Cristiano Rosenkreutz durante il suo viaggio iniziatico.
Eliphas Levi nella sua “Storia della Magia” a proposito del significato ermetico di AL-TOT-AS spiega che dalla combinazione di TOT (Messia egiziano) e le lettere AL+AS si ottiene SALA (ovvero messaggero).  Cagliostro sarebbe stato quindi il portatore di un’autentica riforma egiziana dello spirito dei tempi.
Dopo la morte di Althotas (1767), Cagliostro restò per un breve periodo ancora a Malta essendo, intanto, divenuto amico del Gran Maestro dei cavalieri dell’Ordine De Fonseca.
Cagliostro fu iniziato alla Massoneria il 12 aprile del 1777 nella loggia della “Speranza”, una loggia questa di basso rango.
La scelta fu dettata principalmente da due motivi: in primo luogo perché, a seguito del caso giudiziario con Scott, la sua reputazione era scesa notevolmente ed in secondo luogo, e questo fu il vero motivo della scelta, perchè in una loggia di rango elevato gli sarebbe stato assai difficile ottenere in una sola volta il grado di apprendista, compagno e maestro. Lui voleva bruciare le tappe e non voleva assolutamente sottoporsi ad inutili lunghe attese. Cagliostro riuscì ad imporsi nella loggia così velocemente che in pochi mesi i fratelli lo innalzarono al grado di Gran Maestro.
L’iniziazione di Cagliostro ci è stata offerta dal Lore: “prima sbalzato con una coperta, si dovette tenere attaccato ad una corda fino a scorticarsi una mano, poi tirarsi un finto colpo di pistola in testa ed infine sottoscrivere un giuramento di fedeltà e di segreto su quanto gli avessero detto e poi infine pagare 5 ghinee”.
Secondo i detrattori, primo fra tutti il Barberi, sostengono che Cagliostro si fece massone spinto da basse e utilitaristiche considerazioni di guadagno e carriera.
Gli apologeti, quali ad esempio Dumas, gli attribuiscono i più nobili moventi.
Chi aveva ragione?
Forse entrambi, ma è certo che Balsamo era un miscuglio di furberia e ingenuità, avidità e generosità, cinismo e misticismo. Rubava le elemosine, ma dava disinteressatamente ai londinesi i numeri vincenti della lotteria e curava gratis i malati poveri.
Oltre ad essere semplicemente inscritto Cagliostro rivisse la massoneria, dapprima come una categoria ed un punto di riferimento sociale dei propri sogni, ed infine quale motivazione politica della propria tragedia.
I particolari, le forme, le intensità specifiche di dati momenti, saranno ancora degli interrogativi.
Bisogna dire che nel Settecento l’ideologia muratoria ebbe una travolgente e rapida propagazione, come testimonia l’irrefrenabile incremento di ordini e riti ispirati ad antiche fonti sapienziali e ad accattivanti filosofie esoteriche.
La fusione di gnosi e rito misterico, chiaramente percepibile fin dal procedimento iniziatico, aveva dato vita ad un insieme di verità di difficile codificazione, sopravvissute alla rovina e all’oblio delle grandi civiltà del passato che le avevano originate, raggiungibili solo da alcuni prescelti. Per questo la tradizione massonica fu insignita di un’aureola salvifica in grado di appagare l’intimo bisogno degli accoliti che, in quanto eletti, svolgevano il delicato compito di sottrarre la conoscenza dei segreti allo scempio dei profani: l’adesione alla massoneria comportava l’apprendimento di cognizioni di carattere teurgico-cabalistico che consentivano di sviluppare una certa padronanza dell’occulto.
Tuttavia, a chi osservava questo modello associativo senza però farne parte, sembrava predominante il senso di solidarietà e l’appoggio che gli affiliati erano soliti scambiarsi nei momenti di difficoltà, piuttosto che la conservazione e la trasmissione ai nuovi fratelli dei sacri misteri.
Basandosi, dunque, su ferree regole di riservatezza, suggellate da un inviolabile giuramento, la massoneria sviluppò una struttura di tipo settario, caratterizzata da un’appartenenza fraterna, in grado di superare qualunque dissenso: commercianti, banchieri, uomini di cultura e d’affari riconobbero nell’associazionismo muratorio la via più rapida ed efficace per raggiungere le vette della scala sociale.
Il successo che Cagliostro ne ebbe a riscuotere fu enorme. Egli, infatti, nel fraternizzare massonico, aveva visto un canale di promozione e legittimazione sociale con il quale non interferivano la provenienza territoriale, l’ideologia politica o le attività connesse al ceto.
Aveva saputo tingere di mistero gli avvenimenti riguardanti la sua vita, costruendosi un passato fatto di epoche remote, avventurosi viaggi al limite dei territori conosciuti, ricerche ed esperimenti basati sulla cabala ebraica, sulla negromanzia e sulla teurgia.
Certo è che volle introdurre il misticismo nella massoneria e legò questa riforma alla prepotenza straripante del proprio io.  Il misticismo comunque si traduceva nel sogno dei poteri a ciò basti pensare al bambino resuscitato in Russia.
Il conferimento dell’alta carica massonica lo indusse a sconfessare il suo burrascoso passato. Si spogliò definitivamente dei panni di Giuseppe Balsamo assumendo il titolo di Conte ed il nome di Alessandro Cagliostro.
L’iniziazione diviene un metodo umano di “divenire”.
Se di prodigio si vuole parlare, tanto che si tratti di Giuseppe Balsamo, quanto del Conte Alessandro Cagliostro, il prodigio è esistito.
Balsamo trasformato in Cagliostro, è di per se un miracolo.
Iniziazione, senza rivestire i ruoli del magismo, senza sacralizzare niente e nessuno, significa ricominciare la vita da capo e segna il punto, non trascrivibile in un calendario, nel quale l’uomo trova “Se stesso”.
In tal senso Balsamo morì molto prima che a San Leo e Cagliostro nacque davvero in Oriente.
Sempre a Londra, durante il suo primo soggiorno (1777) acquistò, presso un libraio, un vecchio manoscritto di Giorgio Cofton sulla liturgia sacra egiziana che fu poi la base del suo rito egiziano.
Detto rito si basava su pratiche che avevano come scopo la rigenerazione del corpo e dell’anima e potevano parteciparvi tutti gli iscritti alla massoneria ordinaria, sia uomini che donne.
Cagliostro, il Grande Cofto, era a capo della loggia, mentre Lorenza Feliciani (sua moglie) divenne la contessa Serafina, deputata a reggere le assemblee femminili con il titolo di "Regina di Saba".
La vita di Cagliostro fu un continuo viaggio e in ogni posto si recò prese contatto con le organizzazioni massoniche del luogo, dove fu sempre onoratamente ricevuto. Ebbe così modo di  divulgare, presso i liberi muratori, il suo pensiero e le basi del rito massonico da lui fondato.
Percorse i più alti gradi della conoscenza massonica e prese contatti con esponenti delle sette di illuminati, delle confraternite segrete.
Cagliostro incontrò grandi personaggi che avevano raggiunto i più alti livelli iniziatici, quali  Louis-Claude de Saint-Martin (fondatore del Martinismo come riforma e perfezionamento degli Eletti Cohén di Martinez de Pasqually) e il Conte di Saint-Germain, che vantava immense conoscenze alchemiche e iniziatiche tanto che l’imperatore Federico di Prussia lo definì “L’uomo che non può morire”.
A tal proposito si narra di un mitico, quanto fantastico incontro, avvenuto nel castello di Holstein nel 1785, tra il Conte di Saint-Germain e Cagliostro accompagnato da Serafina.
Nel caso di Cagliostro è presente lo spirito del “massonizzatore”, ovvero l’artefice della trasposizione degli antichi rituali trasmutatori. In termini massonici questo fenomeno si verificò un po’ dovunque nell’Europa del diciottesimo secolo.
Detto compito gli fu affidato dal Cavalier Luigi d’Aquino che secondo la tradizione fu anche il suo iniziatore.
Cagliostro si recò a Napoli nel 1773 e qui fu iniziato al terzo livello  e con l’aiuto del Cavaliere intraprese i primi abbozzi del titanico lavoro di trasferirne l’intero rituale in forma allegorica.
Dieci anni dopo, la notizia della scomparsa del suo maestro lo colse a Parigi, e fu proprio in questa città che la Massoneria Egiziana venne fondata.
La Massoneria Egiziana è un “Ordine”. Essa comprende anche i primi tre gradi. Cagliostro lo strutturò in tal modo al fine di ottenere due risultati. In primo luogo poté iniziare anche le donne e poi di garantire, alla propria creazione, l’autonomia necessaria per scongiurare la minaccia di una forzata sospensione dell’attività trasmutatoria, inconveniente che stava manifestandosi per il Rito di Misraim giusto in quegli anni.
Sebbene non esista alcuna documentazione scritta a riguardo, è più che probabile che la presenza delle donne fosse rivolta a garantire l’operatività anche dei primi due livelli, e che tale inclusione fosse stata preventivamente concordata con il Cavaliere d’Acquino proprio basandosi sull’esperienza maturata coi Riti.
Cagliostro fu attirato da tutto ciò che potesse solleticare il curioso intelletto, ansioso di accedere alle nuove correnti, alle dottrine più originali, alle teorie filosofiche provenienti dall’Oriente e per questo maggiormente inficiate da elementi magici e cabalistici, egli fu senza dubbio interprete dello spirito innovativo che caratterizzò il XVIII secolo.
Il comportamento filantropico, la conoscenza di alcuni elementi del magnetismo animale e dei segreti alchemici, la capacità di infondere fiducia e, al tempo stesso, di turbare l’interlocutore, penetrarlo con la profondità di uno sguardo da tutti ritenuto quasi soprannaturale, furono le componenti che contribuirono a rafforzare il fascino personale e l’alone di leggenda e di mistero che accompagnarono Cagliostro fin dalle prime apparizioni.
Poliedrico e versatile, conquistò la stima e l’ammirazione del filosofo Lavater. In un incontro questi gli domandò: “Conte, da dove Le vengono tutte queste grandi conoscenze?”
La risposta di Cagliostro fu lapidaria, ma profondissima: “In verbis – in erbis – in lapibus”, cioè “nelle parole – nelle erbe – nelle pietre”. Tale affermazione contiene in sé nient’altro che la sintesi delle conoscenze per giungere alla pietra filosofale degli alchimisti. Ma della ricerca della pietra filosofale Cagliostro ne parlò a lungo con il principe cardinale Rohan. Il cardinale appassionato di alchimia voleva conoscere i segreti del conte e giungere così alla conoscenza della pietra filosofale, per trasmutare volgari metalli in oro.
Il Cardinale Rohan passò molto tempo accanto all’atanòr alchemico di Cagliostro.  Cagliostro gli aveva detto “Eminenza la vostra anima è degna della mia e merita di dividere tutti i miei segreti”. Gli rivelò che la parola VITRIOL è la cifra segreta dell’alchimia (si tratta delle iniziali delle parole della frase latina: visita interiora terrae rectificando juvenes occultam lapidem - penetra l’interno della terra, rettificando troverai la pietra nascosta).
L’alchimia, con gli strumenti dell’arte, dice di voler trasformare una sostanza in un’altra più nobile, come il piombo in oro. Ma in realtà segue una disciplina iniziatica per trasformare l’uomo profano nell’uomo iniziato e, attraverso la morte mistica, giungere alla ristrutturazione dell’uomo primitivo o, più propriamente, edenico.
L’alchimia è una delle tante vie iniziatiche che portano al concetto di trasformare l’uomo in dio, come dice, nell’ultimo dei suoi “Versi d’Oro”, Pitagora: “In questi percorsi cambiano gli strumenti, la pericolosità della strada, che può essere più o meno eroica, ma il fine è identico. L’uomo deve soprattutto giungere a conoscere se stesso, per potersi dominare, per potersi ristrutturare secondo la sua essenza vera, quella edenica”.
Ogni via iniziatica ha i suoi pericoli: è per questo che Cagliostro scrive: “lottai con gli uomini e con i demoni e vinti, questi ultimi, mi insegnarono i segreti che concernono il dominio delle tenebre, per cui non mi smarrii mai in una delle vie dalle quali non c’è ritorno”.
E’ il viaggio iniziatico di molti protagonisti di miti esoterici:
Ø    Prometeo che strappa il fuoco agli dei;
Ø    Orfeo che scende nell’Ade per ritrovare Euridice;
Ø    Il dott. Faust che dovette conoscere il male e allearsi con esso per arrivare alla vera conoscenza del bene;
Molti altri archetipi di una tradizione che, mutando i nomi dei protagonisti e i limiti del viaggio, è la ricerca di una disciplina che porta sempre allo stesso discorso essenziale.
L’alchimia può portare alla trasmutazione dell’uomo in uomo edenico, perché i suoi strumenti sono capaci di trasmutare i metalli vili in nobili e di creare medicamenti atti a guarire ogni malattia ed a prolungare la vita oltre i termini naturali. Questo è il duplice segreto della pietra filosofale.
La fortuna di Cagliostro, infatti, è indissolubilmente legata alla sua capacità di incarnare complesse e svariate personalità: mago, medico, veggente, filantropo. Poiché nel Settecento il bisogno di giungere il più vicino possibile alla comprensione del soprannaturale aveva contagiato tutte le classi sociali, Cagliostro decise di svolgere la determinante funzione di divulgatore di una scienza che prima di lui era riservata a pochi iniziati, essendo considerata astrusa e proibita.
Per poter ricoprire il ruolo di esoterista e di uomo di pensiero egli dovette vestire i panni del mago-veggente, ma anche del medico-taumaturgo.
Le doti taumaturgiche, poi, nel XVIII secolo, venivano spesso messe in relazione con quelle alchemiche e di conseguenza la figura dell’alchimista assunse la dignità e il fascino di chi conserva il più profondo segreto della conoscenza, necessario per destreggiarsi nelle teorie relative all’immortalità dell’anima e alla metempsicosi, alimentate da quei filosofi che erano interessati ad un’indagine di carattere spiritualista e materialista insieme.
Cagliostro, dunque, ascende al rango di sapiente, consapevole sia dell’importanza della materia di cui conosce i misteri sia del rispetto delle regole che governano deontologicamente questa scienza: la sua proverbiale filantropia si ispirò, probabilmente, proprio ai principi della filosofia alchemica che impedivano ogni genere di speculazione sulla conoscenza di metodologie destinate esclusivamente al miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo.
Le cognizioni alchemiche di Cagliostro non si risolvono, quindi, nel puro e semplice procedimento empirico per la preparazione di unguenti e medicamenti, ma aspirano al raggiungimento di una gnosi esoterica che consenta la massima elevazione spirituale.
L’insegnamento che Cagliostro ne ricavò fu certamente legato alla semplice empiria: agli inizi della sua carriera, quando ancora si faceva chiamare Giuseppe Balsamo, l’alchimia fu un mero espediente che gli consentì di fare soldi con la vendita di alcuni "segreti".
Importante fu l’incontrò con il monaco benedettino Antoine Pernety, uomo di vasta erudizione che era stato chiamato alla corte di Federico II di Prussia, dove era stato iniziato alle scienze ermetiche. Sembra che Pernety abbia fondato un proprio rito del quale Cagliostro prese parte.
Proprio da questa eccellente frequentazione, Cagliostro apprese che non era possibile interpretare l’alchimia come una prassi fondata su storte ed alambicchi, ma che invece bisognava intenderla come una scienza ermeneutica che ricerca il segreto della pietra filosofale, con l’ausilio di antiche scritture egiziane e greche.
Di conseguenza, egli si appropriò della funzione di custode degli arcani della natura celati negli antichi caratteri geroglifici.
Infatti, secondo quanto tramandato da Ermete Trismegisto, solo pochi aderenti alla filosofia alchemica potevano essere considerati dagli antichi saggi egizi veramente meritevoli di partecipare alla conoscenza più profonda, opportunamente velata da enigmi e linguaggi di difficile interpretazione. Solo chi possiede il più autentico spirito alchemico sarà in grado di comprendere la verità nascosta in fatti apparentemente bizzarri, inverosimili, talvolta addirittura antitetici e fantastici e di impiegarla per scopi benefici.
Cagliostro, aderendo a questi concetti, incarnò agli occhi del suo secolo la figura che compendiava in sé l’antica saggezza dell’ermeneuta e l’abilità pratica dell’empirista.
Riuscì, inoltre, a soddisfare il bisogno collettivo di fantasticare su tutto ciò che era incognito, inesplorato: fu proprio la fantasia popolare a creare il mito del conte alchimista.
Presentandosi, dunque, come depositario dell’antica sapienza ermetica, Cagliostro negherà la "scienza della storia" di Gian Battista Vico.
Cagliostro oppone alla concezione secondo la quale l’uomo può conoscere solo ciò di cui è autore (la storia e non la natura creata da Dio), la teoria che lasciava alla storia la possibilità di presentare dei vuoti, costituiti da eventi non spiegabili razionalmente, ma intellegibili, solo a chi fosse capace di compiere un percorso, intriso di rituali, che avrebbero consentito di penetrare con gli occhi della mente spazi infiniti.
Si dice che il simbolo magico di Cagliostro era racchiuso nel suo sigillo rappresentato da un serpente dritto sulla coda nell’atto di mordere una mela mentre è trapassato da una freccia verso il basso che lo fa sanguinare.  Questo simbolo, ancora impenetrabile, è uno dei segni dei Rosa+Croce ed è ritenuto anche un potente talismano. Cagliostro ha affermato di aver trovato questo simbolo in un libro segretissimo dei Superiori Sconosciuti, i capi segreti dei movimenti di tradizione esoterica, in Germania.  Nella tradizione segreta, il serpente simboleggia la S, mentre la freccia la I. Sono le iniziali di Superiore Sconosciuto o Superiore Incognito, uno dei gradi massimi delle società segrete iniziatiche. Il Superiore Incognito è l’iniziato ad un ordine illuministico che ha ricevuto la conoscenza e i poteri della tradizione.
C’è poi un legame con il serpente tentatore dell’Eden, che ha afferrato la mela - frutto dell’albero della Conoscenza del bene e del male - ma non può morderla, perché la forza divina lo trafigge.
Il serpente ha inoltre molti significati nel mondo occulto: c’è il serpente che si morde la coda, inizio della continuità del lavoro dell’adepto. Se il serpente di Cagliostro è invece un simbolo egiziano, ecco che lo troviamo collegato alla sua professione di guaritore, perché nell’antico Egitto il serpente era il Dio della guarigione, secondo il principio che veleno combatte veleno. Lo stesso significato ha nell’antica Grecia, dove ne vediamo due, attorcigliati, sul caduceo di Esculapio, dio appunto della medicina; sempre nel mondo greco il serpente appare sullo scudo di Athena e nel Partenone.
Il serpente di bronzo, secondo la Bibbia, simboleggia il serpente che era un dio pagano che rese onore a Mosè e che trovò posto nel mitico tempio di Salomone. Mosè e Salomone sono due punti fermi per la dottrina cagliostriana del rito egiziano.
Cagliostro collegava anche le sette spire del serpente arrotolato su se stesso ai 7 metalli, alle 7 note, ai 7 colori, ai 7 pianeti ma poi per il Conte le 7 spire non sono altro che le sette sfere planetarie che l’anima deve superare per giungere all’immortalità.
E’ difficile comunque giungere a una interpretazione del simbolo di Cagliostro. Bisognerebbe parlare dei culti mithriaici (dove il serpente aveva la sua importanza), come delle tradizioni orientali, che pure Cagliostro penetrò e seguì, ma anche degli stessi alti gradi del rito scozzese antico e accettato della massoneria, come il venticinquesimo, detto del serpente di bronzo.
In ogni caso nel sigillo di Cagliostro sta forse la spiegazione del suo mistero ultimo.
Il cardinale di Rohan disse più volte di aver visto Cagliostro, coi propri occhi, trasformare il metallo in oro, ingrandire una pietra preziosa, far apparire gemme dal nulla, grazie al suo forno alchemico.
La seconda metà del diciottesimo secolo è un periodo storico esoterico meraviglioso si diffusero le teorie spiritiste e angeliche di Swedenborg, il mitico autore della Gerusalemme Celeste, colui che vide l’incendio di Stoccolma a molte miglia di distanza. I Martinisti e i Martinesisti con le evocazioni agli angeli, al centro di cerchi magici di protezione, o Mesmer che applica il suo magnetismo animale.
Tuttavia, Cagliostro raggiunse l’apice del successo a Lione, dove nel 1784 fondò la prima Loggia massonica di Rito Egiziano, chiamata La sagesse triomphante.
In ogni caso, quali che siano le fonti, vere o presunte, di Cagliostro, occorre sottolineare che nel rituale inaugurato da Cagliostro emergono non pochi elementi riconducibili al culto isiaco, quale viene descritto nelle opere di Apuleio, che dei misteri della Iside ellenica resta la nostra fonte più importante.
Il rituale egiziano riesce troppo religioso, decisamente mistico e addirittura ascetico. E’ infatti imperniato sulla caduta, sul peccato, sulla colpa: immagini prese a prestito dall’Antico Testamento.
La massoneria di quel tempo incominciava a delineare il duplice orientamento della base razionalistico-simbolica e degli slanci metafisici degli ordini illuministici, l’idea di un Cristianesimo rinnovato in termini sincretistici e neoplatonici.  Cagliostro raccoglie in sé l’una e l’altra prospettiva, parla e scrive in tono ieratico, mette avanti Dio ad ogni occasione e chiama Rohan, spiritualmente suo “figlio”. Era con sufficiente probabilità un temperamento fortemente mistico egli stesso.
Cagliostro nel suo rituale si attacca all’Antico Testamento, anche per una ragione psicologico-rituale (il rapporto solenne e drammatico tra Dio e l’Uomo) Risalire al principio della vita equivale a conoscere la prima materia o meglio a riconquistarla, attraverso la uccisione di Mercurio-serpente-tempo. Si tratta di un processo tanto maschile quanto femminile e la carica versatile e poetica dell’autore del rituale ha adattato lo stesso motivo a due processi umani distinti, attraverso tre gradi progressivi, sia maschili che femminili paralleli. Per essere precisi bisognerebbe parlare semplicemente di accettazione di un dono.
Tutta la gradualità simbolica diventa l’indice dell’avvicendamento dell’uomo all’assoluta fiducia di Dio. Le operazioni alchimistiche assumono così significato di atti di “pietas” con riflessi morali .
Ma cominciamo innanzitutto dal nome con cui Cagliostro si faceva chiamare, “Gran Cofto”. Tra le varie ipotesi sulla sua origine, è difficile non pensare anche alla città sacra egiziana sulla riva orientale del Nilo, distrutta nel 296 dalle truppe di Diocleziano, in cui il nome ricorre nella preghiera del sacerdote di Iside, nel II libro delle Metamorfosi, affinché resusciti il morto.    “Io ti scongiuro per gli astri celesti, per le divinità infernali, per i naturali elementi, per i silenzi notturni, per i sacrari di Copto, le piene del Nilo, i misteri di Memphis e i sistri di Faro…”
Un primo elemento che ci riconduce al culto isiaco è proprio il nome Isis, attribuito alla prima loggia femminile di rito egiziano (nella casa della marchesa d’Orvilliers - la cui direzione fu assunta dalla moglie di Cagliostro col titolo di Regina di Saba).
La presenza femminile fra gli iniziati e i sacerdoti di Iside è nota, ma essa traspare soprattutto dalla descrizione della processione durante la festa del Navigium Isidis, dove troviamo fanciulle splendenti nelle loro candide vesti che lanciano fiori, portano specchi lucenti, pettini d’avorio, profumi e unguenti odorosi che spargono ovunque.
La folla degli iniziati è composta da uomini e donne di ogni condizione sociale e di ogni età, raggianti nell’immacolato candore delle loro vesti di lino. Il successo di Iside presso il pubblico femminile è cosa nota (non a caso la Chiesa di Roma ha usato la sua iconografia e i suoi titoli nella costruzione dell’immagine di Maria vergine) e Cagliostro avrà pensato, non senza ragione, che una Massoneria di rito egiziano non poteva certo estromettere le donne.
È anzi, proprio nello svolgimento del rituale femminile, che troviamo un ulteriore riferimento al mito di Iside. Nell’iniziazione al grado di Maestra, infatti, Hiram era sostituito direttamente da Osiride, che appariva sepolto in un tronco d’albero – esattamente come recita la saga di Iside e Osiride descritta da Plutarco e come risulta dalle numerose raffigurazioni di Osiride-albero o pianta.
È ipotizzabile che anche le due iniziazioni ad Osiride di Lucio a Roma, sulle quali Apuleio non dice nulla, prevedessero comunque qualcosa del genere.
Anche altri particolari dell’iniziazione femminile, quali vengono descritti nel Compendio della vita di Giuseppe Balsamo (che sebbene sia dichiaratamente avverso a Cagliostro allo stato attuale resta una delle poche fonti a nostra disposizione sul rito egizio), concordano con l’iniziazione di Lucio. “Vestita con un abito bianco, la neofita veniva chiusa in un tabernacolo, un luogo appartato del tempio massonico foderato di bianco. Alla luce delle candele la neofita attendeva l’apparizione di divinità angeliche che la esaminavano per vedere se era degna di ascendere al grado superiore”.
Non molto diversa da questa è l’esperienza sommariamente descritta da Lucio nel corso della prima iniziazione.
L’origine storica dei Riti Egiziani si fa risalire a Cagliostro, il quale nel 1767 portò a Napoli da Malta i rituali della Loggia Discrezione ed Armonia, ove era stato iniziato nel 1766 insieme a Luigi D’Aquino di Caramanico, cugino del principe Raimondo di Sangro
A Napoli vennero aggiunti a questi rituali, ad opera del principe D’Aquino di Caramanico e forse di Cagliostro, per suggerimento del suo maestro Althotas, i tre gradi dell’Arcana Arcanorum o Scala di Napoli, che diventeranno i tre gradi 87°, 88° e 89° del Rito di Misraïm, o i quattro gradi, da 87° a 90°. Questi gradi però, potrebbero essere di origine non napoletana bensì veneziana.
Unica certezza è che nella Repubblica Veneta essi erano certamente conosciuti nel 1782. Successivamente nel 1778 Cagliostro iniziò a costituire Logge di Rito Egiziano in Francia e nel 1784 a Lione, dietro richiesta dei suoi discepoli, fondò la Loggia Madre La Saggezza Trionfante, di cui si proclamò Gran Cofto, nonché le Logge Femminili di Adozione.
L’interesse della Massoneria verso la sapienza egizia, per quanto ci è dato saperne, risale molto indietro nel tempo: i miti dell’Egitto e le sue divinità costituirono un motivo di attrazione a partire dall’inizio del 1700, quindi pochi anni dopo la comparsa di quella che possiamo definire la “Massoneria moderna”
I temi più ricorrenti in ambito massonico furono fin dall’inizio sia l’Ermetismo nella figura di Ermete Trismegisto che alcuni tra gli antichi Dèi egiziani, Osiride in particolare.
Il primo richiamo all’Egitto come fonte della sapienza iniziatica si ritrova a Napoli (Hornung), dove venne eretta la Loggia La Perfetta Unione nel 1728, il cui sigillo in avorio, argento ed oro recava l’iscrizione: “Latomor Fratern – Perfecta unione” e “Qui quasi cursores vitae lampada tradunt”; la figura incisa rappresentava il Sole a mezzogiorno, una piramide con due colonne, la Sfinge con l’acacia e una torre.
Per quanto i rituali della Massoneria Egiziana fossero improntati fin dall’inizio a una terminologia di tipo religioso, non c’è motivo di pensare che la sua funzione originaria si discostasse dalla consueta funzione di “mascheramento” che aveva consentito alle scuole trasmutatorie ermetiche di scampare per secoli all’occhio arcigno dell’Inquisizione.
La presenza di una componente filoreligiosa, alimentata dalla crescente contrapposizione nei confronti della Massoneria di indirizzo laico, è una costante della storia massonica degli ultimi due secoli. Ancora oggi, le più quotate linee di trasmissione dei Riti di Memphis e Misraim e della Massoneria Egiziana sono interpretate in chiave di esperienza parareligiosa ed è quasi impossibile per chi voglia essere iniziato entrare a farne parte senza una preventiva confessione di fede cristiana.
L’Ordine egiziano attribuisce ai propri adepti un’età simbolica anche a seconda dei gradi. L’età massima del Maestro egiziano è di 5557 anni, ovvero tre volte cinque e sette numeri che indicano l’età dell’apprendista, del compagno e del maestro. 
Il rituale massonico insegna che per arrivare alla “Camera di Mezzo”  bisogna salire rispettivamente tre, cinque e sette gradini sopra una scala a vite.
Interessante è notare che anche Zosimo, nel suo trattato sulla virtù parla di 15 gradini (3+5+7) risplendenti di luce, che conducono ad un altare in forma di coppa, dove officia il sacerdote del santuario. Si potrebbe pure osservare che sommando le cifre 5557 si ottiene 22, ossia il numero corrispondente all’ultima lettera thau dell’alfabeto ebraico, ed all’ultima lama del tarocco. Il thau non è altro che la croce iniziatica, e secondo Levi è il microcosmo, il riassunto di tutto in tutto.
Non sarà forse un caso che proprio Napoli sia strettamente connessa con il Rito di Misraïm, in cui parte rilevante hanno proprio i miti di Osiride. A questa Loggia avrebbe appartenuto il Principe Raimondo De Sangro, il che retrodaterebbe la sua adesione alla Massoneria al 1736-1737.
Nel Rito di Misraïm e in particolare nel Gran Santuario Adriatico, in Italia, viene posto l’accento sul mito di Osiride “La similitudine tra il mito di Osiride e il mito di Hiram, assassinato e poi resuscitato nella persona del nuovo Maestro affascina i Figli della Vedova introdotti al terzo grado… al punto che certi riti massonici egiziani, come il Sovrano Gran Santuario Adriatico hanno sostituito il mito di Osiride a quello di Hiram nei lavori del terzo grado”.
Un altro momento del rito propugnato da Cagliostro trova un precedente in episodi già descritti da Apuleio nel processo per magia. Si tratta dei procedimenti di idromanzia, la cui realizzazione era affidata ai neofiti più giovani, chiamati “pupilli” o “colombe”. Essi venivano portati davanti ad un recipiente pieno d’acqua, nella quale riuscivano a scorgere angeli o spiriti di defunti, e avevano la visione di avvenimenti futuri. Episodi del genere sono descritti anche nel Compendio della vita di Giuseppe Balsamo.
Ma la cosa che interessava di più gli adepti alla massoneria egiziana era il complesso rito della rigenerazione fisica e dell’immortalità psichica ovvero il metodo segreto, insegnato da Cagliostro ai suoi discepoli, affinché ogni 50 anni potessero, seguendo precise indicazioni, ringiovanire nel corpo e nello spirito, superando le barriere umane.
Nel rito egizio di Cagliostro la rigenerazione era la meta ultima del percorso iniziatico. L’iniziazione, o meglio la “rigenerazione”, del rito prevedeva la rinascita dell’iniziando attraverso due distinte rigenerazioni: una morale e una fisica.
Come in alchimia la trasmutazione del corpo e dello spirito erano effetto e non causa dell’evoluzione spirituale, che aveva raggiunto il suo culmine.
La rigenerazione morale e quella corporea richiedevano ciascuna un’operazione della durata di quaranta giorni, per questo chiamate quarantene.
La prima prevedeva l’ascesa su una montagna altissima, dove veniva costruito un padiglione nel quale il neofita doveva restare per 40 giorni, assorto in meditazioni e preghiere, grazie alle quali potrà diventare puro come un fanciullo, fino a raggiungere il contatto diretto con le divinità planetarie e quindi sedere al fianco del Maestro.
Secondo alcune testimonianze la rigenerazione morale avrebbe permesso di acquisire il potere di evocare gli spiriti dei defunti attraverso la necromanzia grecoegiziana.
Sappiamo già che nel romanzo di Apuleio è proprio un sacerdote di Iside il protagonista di un episodio di necromanzia, che ne ricorda uno analogo nella Farsaglia di Lucano
Per motivi di tempo salto il rituale.
Un solo accenno alla seconda, la rigenerazione fisica. Come già detto, anche per questa era prevista una quarantena in una alcova sita in aperta campagna.
Nel più totale isolamento, “egli quindi si sottoporrà a diete rigorose, ad abluzioni frequenti e all’effetto di bevande che gli faranno cadere pelle, denti e capelli. Verso la fine della quarantena la pelle, i denti e i capelli saranno nuovamente rigenerati, e il suo corpo rinascerà a nuova vita”.
Si tratta sostanzialmente, anche in questo caso, di un episodio di morte rituale, ed è interessante rilevare che episodi di morte rituale, secondo la testimonianza del Compendio della vita di Giuseppe Balsamo, avvenivano in una loggia sotto l’influenza, diretta o indiretta, di Cagliostro, quella degli Amici Sinceri a Trinità dei Monti.
E’ evidente che le procedure dettate nelle quarantene, se le interpretiamo simbolicamente, ci fanno immergere nel grande mare della filosofia occulta, dove non hanno alcun valore termini come vero, falso, possibile, irreale…
Ma non dobbiamo dimenticare che il concetto di quarantena, come primaria scansione del tempo e pratica importantissima della tradizione iniziatica, non fu un’idea di Cagliostro che, invece, si attenne perfettamente ad una millenaria cultura. Come osservava Arturo Reghini, la quarantena cagliostrana ripeteva quella di Mosè sul Sinai, di Gesù nel deserto. Anche l’iniziazione di Lucio in Apuleio prevede un periodo di quarantena, abluzioni, diete rigorose e stati di allucinazione chiaramente provocati da droghe e bevande particolari.
Ma troviamo una forma di quaresima in diverse consuetudini: la quaresima cristiana che precede la Pasqua di Resurrezione, il Ramadam, il sacrificio descritto da Tommaso Campanella nella Città del Sole ecc.
Occorre considerare che i riti prescritti da Cagliostro non sono molto diversi da quelli descritti nei papiri magici e, più in generale, in tutta la letteratura connessa alle pratiche di magia.
La sostituzione di arti e la rigenerazione del corpo sono un tratto distintivo delle pratiche sciamaniche e qualcosa del genere non era estranea alla magia egiziana.
Nel caso appunto delle iniziazioni isiache la rigenerazione morale va di pari passo con la rigenerazione fisica; quest’ultima si manifesta, simbolicamente, nel taglio dei capelli.
La stessa Iside è protagonista di un episodio di rigenerazione (trasformazione del corpo di una donna nel corpo di un uomo) nelle Metamorfosi di Ovidio (IX 726-63). Ma la più importante rigenerazione fisica ad opera di Iside è naturalmente quella del corpo di Osiride, che verosimilmente costituiva il nucleo dei suoi misteri.
Nella concezione di Cagliostro, peraltro, il rito egiziano era aperto ad altre esperienze.
La Baronessa der Recke, sua protettrice durante la permanenza a Mitau in Curlandia (oggi Jelgava in Lettonia) scrive a tale proposito: “Egli illustrava il ruolo degli spiriti intermediari tra l’uomo e Dio, parlava della regina di Saba, della Bibbia, dei misteri greci ed egizi, dei libri sacri dell’India, dello Zend-Avesta e dell’Edda, insisteva sul simbolismo dei numeri che in ogni tempo, da Pitagora a Platone, dai neoplatonici di Alessandria agli alchimisti, aveva affascinato gli animi”.
Anche questo sincretismo è stato oggetto di scherno, ma non ha nulla di diverso, a ben vedere, dal sincretismo della cultura imperiale e tardo antica, che rivivrà nel sincretismo platonico-cristiano dell’età moderna.
L’importanza del rituale di Cagliostro consiste nell’interpretazione psicologica delle operazioni alchimistiche, le quali poi si riducono ad una sola e fondamentale: l’uccisione di Mercurio da parte del Fratello egiziano o la decapitazione del Serpente da parte della Sorella egiziana. L’operazione è compiuta con il pugnale ed il fatto che anche la Sorella maneggia l’arma e decapita non deve meravigliare altrimenti ella non potrebbe affermare, al mistero del III grado, io sono uomo.  Si tratta effettivamente di un’unione intima e completa tra il principio maschile ed il femminile. L’agente non può non ricordare il ruolo della potenza generativa rispetto all’indiscriminato ed all’amorfo. Non si dovrebbe dunque parlare di un’uccisione quanto piuttosto della pratica sessuale cosmica della fecondazione.
L’uccisione è il termine alchimistico che significa il principio della palingenesi diretta dall’intelligenza.
Domandarsi il significato dell’uccisione di Mercurio, sulla base della corrispondenza psicologia-alchimia, è domandarsi il significato del “pensare”. Questo non è solo schemi d’indicazioni e formule occasionali, quanto piuttosto ragionare, compiere un dialogo interno, capire dentro di noi il rapporto del si e del no. La ragione, per vivere, deve storicizzarsi, rivestirsi cioè di cariche psicologiche ed ordinarle ed utilizzarle, senza per altro lasciarsi deviare da esse.
Noi siamo, in partenza, dentro di noi, proprio come lo specchio del Mercurio, tutto e nulla, ed in ogni momento, se viene meno l’arma solare, perché certo il problema dell’esistere non si risolve con l’aver segnato il proprio nome nei registri dell’Ufficio anagrafe.
Non per niente la massima dimostrazione della potenza raggiunta dall’uomo in possesso della prima materia è la figura pentagonale ossia il segno della intelligenza. Non è da meravigliarsi infine che il Mercurio venga inteso come vizio, orgoglio, fragilità femminile, debolezza perché esso è tutto in partenza, bene e male, è la materia amorfa da plasmare con le mani dell’artefice.
Che Cagliostro fosse possessore di questo segreto è cosa detta da molti. Anche durante la sua causa a Londra tra il materiale che gli venne sequestrato si trovava un contenitore di polvere rossa, che usava appunto per fabbricare l’oro.  Ora è noto agli studiosi di alchimia che è questa misteriosa polvere rossa era l’ingrediente principe per giungere al risultato. La polvere rossa fu il segreto principale della scuola magica di Praga, alla corte del monarca occultista Leopoldo II, e spesso, quando si legge o si studia di qualche alchimista autentico, appare questa misteriosa povere rossa sulla quale, purtroppo, non si riesce a sapere altro.
Spesso parlando di Cagliostro troviamo il concetto di “prima materia”, secondo il Dizionario di Alchimia e di Chimica antiquaria risulta che gli alchimisti credevano nell’esistenza di una sostanza primordiale che chiamavano in vari modi, che l’ermetismo ha tramandato con parole di nove lettere (Tubalcain, arenicon, antimonio, vitrolium…) e, che Paracelso definiva “Il mistero del magnale magnum
La corrispondenza nella terminologia spiritica contemporanea è, secondo alcuni l’“ectoplasma”. Esso si collega con l’Olio di alcali.
I fenomeni spiritici sui quali faceva perno Cagliostro risalgono ad epoche più antiche nelle quali si verificano apparenti morti ed il ritorno alla coscienza di determinati soggetti.  Il carattere universale, primigenio, unitario di questa sostanza è confermato dalla corrispondenza con l’Ambasagar (ovvero l’arsenico).
Esso raccoglieva le due operazioni l’albedo e la rubedo  e cioè l’imbiancare e l’arrossare, calcinazione e argentazione da una parte, e dall’altra unione dello zolfo e del mercurio cinabro. Il bianco ed il rosso sono gli indici opposti della vita, come l’acqua ed il fuoco, il lunare e il solare, il femminile ed il maschile. La materia prima è androgina e indiscriminata e da ciò può farsi risalire la ragione scientifica del carattere androgino della Massoneria egiziana, in quanto uomo e donna partecipavano ugualmente alla rigenerazione per mezzo della prima materia.
Ancora essa è detta Tubalcain dal nome del mitico fondatore dell’alchimia, il contatto terminologico con il Vitriolium ricorda che il concetto è legato all’analisi del profondo, alla introspezione, a quella conoscenza di sé che ha per premio il possesso del Lapis Philosophorum o Vera Medicina o Pietra Occulta.
Ma, cos’è l’ectoplasma?
La sola descrizione è impressionante.
Basti dire che esso è “la sostanza che scaturisce dal pensiero”. In effetti è sostanza animata ed intelligente.
La medium Eva Carriére produceva ectoplasma “… dal corpo del medium trasuda e si esteriorizza una sostanza amorfa che assume rappresentazioni diverse, essa teme contatti ed è sempre preparata ad evitarli riassorbendosi nel medium”.
Quasi sicuramente la sostanza prima di cui Cagliostro si sarà servito per le sue operazioni alchemiche e terapeutiche può essere proprio l’ectoplasma. È facile credere che possa esserne entrato in possesso dagli stati di trans delle pupille o colombe e lui, grande alchimista, avrà scoperto il sistema per entrarne in possesso.
Il Mercurio, o volatile, o pietra grezza equivalente al Tempo alato, al Serpente con la mela in bocca, al Vizio è il padre e la madre dei sette metalli ed infine uno dei più vasti simboli della chimica antica.
In quanto simbolo dei metalli è la quinta essenza, uno stato di permanente fluidità liquida, conduttrice della vita indiscriminata e pertanto femminilità, linfa adatta ad essere impressionata per la generazione ossia per la individuazione degli esseri emergenti dalla potenzialità pura.
Corrisponde naturalmente al colore bianco ed all’argento. La sua volatilità si ritrova nelle ali del Tempo, il Serpente è appunto la forma filosofica del Mercurio ed indica “la elettricità occulta, la luce astrale, il Gange celestiale… l’essenza umida dell’universo”
Quando si dice che Mercurio è il padre e la madre dei sette metalli è evidente che si fa riferimento alla potenzialità pura di questa sostanza, ad un tempo attiva e passiva o meglio capace di emettere da sé ambivalenza di radiazioni.
Il metallo è la vita definita, conchiusa, individualizzata, il Settenaristio è notoriamente interpretazione sintetica, cifra, e dunque parlare dei sette metalli significa indicare le varie possibilità della individualizzazione che emerge dall’istinto.
Come il matrimonio tra Sole e Luna, esprime un solo concetto, l’unione dei due principi cosmici, maschile e femminile, dal quale si torna alla pietra filosofale. Il motto latino “Chi conosce la morte, conosce l’arte” indica simbolicamente il processo alchemico per cui soltanto dopo la “morte” la materia può pervenire alla maturazione e alla perfezione; soltanto dopo un procedimento di putrefazione si arriva alla vita il vero alchimista è colui che sa come realizzare la morte della materia (la nigredo, cioè la materia al “nero”) e da questa risale fino alla pienezza della rinascita della materia, passando dagli stadi di colore nero (la morte) poi bianco (la putrefazione), poi rosso (la glorificazione).
Morte e rinascita sono i poli di ogni percorso iniziatico. Ogni uomo che voglia raggiungere l’illuminazione deve superare la morte simbolica della sua originaria natura effimera e fallace, per giungere infine alla rigenerazione.
Alla Loggia madre di Lione, Cagliostro consegnò Statuti e Regolamenti molto dettagliati che ci fanno comprendere il ruolo di patriarca e di capo spirituale di cui si sentiva investito per volere divino. Sono statuti più adatti ad una setta che ad una loggia in essi si può misurare tutta l’incolmabile distanza che ormai (fine 1784) separava il conte dalla massoneria ordinaria.
La massoneria di Anderson era una costruzione tutta umana e laica, nella quale il divino era una luce soffusa, in secondo piano, seppur sempre presente direi discreta; la massoneria di Cagliostro non aveva altro scopo che “glorificare Dio e penetrare nel santuario della natura”.
La massoneria ordinaria era l’espressione della cultura razionalista e deista del settecento dei Lumi; la massoneria egiziana fondata dal Gran Cofto era, si può dire, un ordine religioso, un cenacolo mistico che aveva nel fondatore una figura carismatica alla quale si attribuiva un ruolo superiore, di intermediario fra Dio e gli uomini, anzi uomo eletto da Dio per donare agli uomini la verità e la potenza.
Il misticismo dell’ordine cagliostrano era così intenso che alla conclusione della seduta in cui viene accolto un nuovo apprendista “tutti i fratelli si prosterneranno davanti al nome sacro della divinità per ringraziarla e glorificarla dopo di che si chiuderà la loggia”.
Cagliostro chiama “figli miei” gli adepti della massoneria egiziana, li esorta “amatevi gli uni con gli altri, amatevi teneramente”. Queste non sono frasi massoniche, ma echi del Vangelo.
Cagliostro amava Serafina fino ad un limite inimmaginabile e quando alla fine si vide tradito, consegnato nelle mani dei suoi nemici, materialmente venduto da Lorenza, allora confessò tutto ciò che gli inquisitori gli suggerivano. Era già veramente morto.
Lorenza era il materiale umano  sul quale Cagliostro, volta per volta, costruiva Serafina. 
Una sola è l’ipotesi conveniente e Dumas l’ha intuita quando presenta il Grande Cofto che ipnotizzava la moglie: diversamente gli scappava dalle mani e andava a dire in giro i fatti di famiglia.  Cagliostro dovette illudersi di dare a Lorenza nuova personalità culminante nella fisionomia intellettuale e magica della maestra Iside, della iniziata egizia che aveva attraversato la quarantena, vinto la morte ed era divenuta veramente la sorella del marito (come nella qualità dei Faraoni). 
Lorenza era passata attraverso quelle prove in stato sonnambulico che le aveva procurato uno sdoppiamento.  La parte ancorata agli influssi del mondo famigliare, alla tradizione bigotta, alla miseria da cui usciva e magari alla sua antica condizione di miseria prostituente, risorgeva, volta per volta, e dava i suoi frutti. 
Solo l’ipnosi offre una spiegazione attendibile, quando Serafina si aggirava nei saloni di Pietroburgo, di Parigi, di Varsavia, era una grande dama, pronunziava discorsi nella qualità di maestra di loggia, ma in realtà era il marito a suggerirgli tutto ciò con il pensiero.  Questa fu davvero la sua gigantesca impostura e fu dono dell’amore. Non è da escludere che, in qualità d’ipnotizzatore Cagliostro abbia indotto la moglie ad attraversare il limite dei procedimenti ermetici della elevazione spirituale e del ringiovanimento e che Lorenza nella propria inconsapevolezza beata abbia eseguito con fedeltà quanto le si diceva.
Ma tutto passava su di lei come l’acqua che scorre.
Ora però si pone un problema: Possono le cerimonie magiche e sacramentali rivestire una oggettività assoluta? Essere cioè fonti di qualcosa che si trovi fuori e sopra la personalità di chi riceve, di chi si sottopone, volente o no al rito? 
In questo Cagliostro dovette violare il principio di base della iniziazione la quale non può essere solo conferita, ma deve venire piuttosto vissuta. La cerimonia è indice, rappresentazione “richiamo dell’oro” alchemico”.
Il rito assume valore quando è interiorizzato con volontà e coscienza, diversamente, per essere  maghi basterebbe aver letto dei libri di magia. 
Cagliostro aveva dei momenti in cui rinunciava ad ipnotizzare la moglie, oppure non poteva farlo perché si scaricava ed allora l’antica Lorenza prendeva il sopravvento e, da Serafina, tornava ad essere la Feliciani.
Pio VI preoccupato dai racconti sugli eccezionali poteri e sulle gesta del nostro avventuriero, dopo un consulto con alcuni cardinali ed il Segretario di Stato Zelada, deliberò l’arresto di Cagliostro e decise di rimettere nelle mani dell’Inquisizione romana la sorte del più pericoloso interprete dell’inquietudine, dello spirito avventuroso e fantastico che caratterizzò il "Secolo dei Lumi".
Cagliostro fu immediatamente condotto nelle carceri di Castel Sant’Angelo, mentre Lorenza fu rinchiusa nel monastero di Sant’Apollinare in Trastevere, a disposizione del Sant’Uffizio.
Durante l’interrogatorio da parte dell’Inquisizione Cagliostro descrisse la condizione spirituale raggiunta in seguito alla rigenerazione morale con parole che ricordano il contenuto del LXIV capitolo del Libro dei Morti egiziano.
“Non appartengo ad alcuna epoca né ad alcun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua esistenza eterna, e se mi immergo nel pensiero risalendo il corso delle ere, se allargo il mio spirito in modo da esistere distante da quello che voi percepite, divengo colui che desidero. […] Io sono oggi, io sono ieri, io sono il domani. Attraverso le mie innumerevoli nascite io resto giovane e vigoroso. […] In presenza di Osiride io divengo il Maestro della vita, il mio essere è per sempre inalterabile ed eterno”.
Cagliostro, il “Grande Cofto” colui che aveva riattivato il Rito della Massoneria Egiziana, lui il discendente dei sacerdoti egiziani, si trovò così a dover fronteggiare i metodi spietati e cruenti del più temuto tribunale dell’epoca, il Sant’Uffizio.
Ristretto nelle carceri di Castel Sant’Angelo sotto stretta sorveglianza, Cagliostro attese per alcuni mesi l’inizio del processo. Al consiglio giudicante, presieduto dal Segretario di Stato cardinale Zelada, egli apparve colpevole di eresia, massoneria ed attività sediziose.
Cagliostro fu accusato di truffa, di aver disegnato documenti falsi, di aver raggirato degli ingenui commercianti, di aver prostituito la moglie.
L’Inquisizione riuscì a stringere nel suo pugno Cagliostro e lo accusò di crimini, per allora infami.
Eretico, appartenente alla massoneria, cose degne del rogo, mostruosità innominabili, da far tremare qualunque benpensante.
Ma riflettiamo, che bisogno aveva l’Inquisizione così forte nelle sue accuse, di aggiungere a crimini di tale violenza, degni del rogo, anche banali accuse come quelle che si attribuivano ad un comune ladroncello? 
Il disegno sottile dell’Inquisizione era di non voler creare un grande martire di un’idea di una istituzione, ma di voler smascherare e condannare un piccolo briccone, un ladruncolo da strada.
Come dire: guardate signori che cos’è la Massoneria? Un ladroncello, un miserabile figlio della strada può diventare uno dei sommi capi di essa e quindi se Cagliostro è un imbroglione; la massoneria è dunque un imbroglio.
All’inquisizione che gli chiedeva da dove gli provenissero certe forze ad altri precluse, egli rispose  “che Dio lo ispirava per uno speciale favore ve gli donava una potenza che lui stesso, certo, non possedeva”  Aveva ricevuto da Dio doni che restituiva al prossimo come Gesù. In definitiva vi è un mistero di grazia riservato agli eletti “Io credo che l’uomo, creato ad immagine di Dio, può, per sua protezione speciale, pervenire alla conoscenza ed al dominio degli spiriti e procedere di conseguenza ad un’altra sorta di creazione”.
Anche rinchiuso nelle segrete di Castel Sant’Angelo, la più sicura fortezza papale, egli appariva pericoloso per la stabilità del soglio pontificio minato, secondo Pio VI, dall’empietà e dalla nefandezza insite negli insegnamenti e nei misteri predicati, volti a svilire le verità della fede.
Massimamente esecrabile, inoltre, era considerata l’arte divinatoria che in più di un’occasione Cagliostro aveva dimostrato di praticare, avvalendosi di strumenti il cui impiego risultava contrario alla dottrina cristiana.
Egli, dunque, viene dipinto dal Sant’Uffizio come il capo di un credo esoterico che, preannunciando a Villa Malta il movimento rivoluzionario che aveva cancellato una delle monarchie più solide d’Europa, quella francese, aveva dato prova tangibile del male di cui poteva essere origine.
L’Inquisizione di Pio VI, nella sua lotta spietata alla massoneria, non vide o non volle vedere che nella realtà dei fatti mancavano le prove necessarie per incriminare di tutto ciò l’eclettico avventuriero, colpevole soltanto di aver tratto vantaggio dalle suggestioni tanto abilmente create per la gioia di amici e conoscenti.
Cagliostro finiva così per impersonare il male presente nel suo tempo, pur non avendo sostanziali connessioni con i più fondati sistemi di pensiero dell’epoca, tanto avversati dalla Chiesa.
Diveniva protagonista di macchinazioni politiche, ordite con il supporto di una massoneria privata, ridotta ad una setta dedita al sovvertimento delle regole divine, naturali e sociali. Per questo motivo, grande importanza fu data al Rituel de la Maçonnerie Egyptienne, il manoscritto che conteneva le teorie e le tesi massoniche divulgate da Cagliostro. Il Sant’Uffizio decise di affidarne la disamina a due esperti della materia, il domenicano Tommaso Vincenzo Pani, commissario generale dell’Inquisizione, e Padre Francesco Contarini, consultore del Sant’Uffizio. L’opera venne bollata come empia e accusata di contenere l’impostazione dottrinale di principi ereticali e massonici, pericolosi per l’integrità del credo cattolico. Il pontefice poté così ordinare la distruzione del manoscritto e di tutti gli strumenti massonici sequestrati a Villa Malta. L’esecuzione della sentenza avvenne nella pubblica cerimonia detta sermo generalis o autodafé. Dinanzi ad una folla acclamante furono bruciati i libri e gli oggetti del rito egiziano.
Di lì a pochi giorni, Cagliostro fu tradotto nelle caliginose carceri della fortezza di San Leo, dove scontò la condanna alla reclusione perpetua; punizione forse ben più grave, per uno spirito libero, della pena di morte che Pio VI sospese poco prima dell’effettiva attuazione.
Il 7 aprile 1790 fu emessa la condanna a morte e fu indetta, nella pubblica piazza, la distruzione dei manoscritti e degli strumenti massonici.
In seguito alla pubblica rinuncia ai principi della dottrina professata, Cagliostro ottenne la grazia; la condanna a morte venne commutata dal pontefice nel carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni dell’inaccessibile fortezza di San Leo, allora considerato carcere di massima sicurezza dello Stato Pontificio.
Il segreto più completo ha sempre coperto, e continua a coprire, l’infame processo contro Cagliostro, l’ultima grande vittima di un sistema inquisitorio che presto sarebbe stato abbattuto grazie anche alla sofferenza e alla grandezza di quest’ uomo.
A Cagliostro venne riservata una cella detta del Tesoro, la più sicura, ma anche la più tetra ed umida dell’intera fortezza, ma il cardinale Zelada, segretario di stato, da Roma minacciava tuoni e fulmini, casomai il pericoloso prigioniero fosse fuggito. Si dice che avesse disposto il taglio della testa per i carcerieri in questo caso. 
Gli abitanti di San Leo odiavano Cagliostro, perché non lo capivano, perché la sua presenza rappresentava un pericolo. Temevano di vedere bande armate di massoni arrivare al forte che, seppure inespugnabile, paventava sortite di seguaci del Gran Cofto.
Così, nonostante fossero state prese tutte le misure necessarie per scongiurare qualunque tentativo di evasione, il Conte Semproni, responsabile in prima persona del prigioniero, decise il suo trasferimento nella cella del Pozzetto, chiamata in questo modo perché il condannato veniva calato direttamente dall’alto.  Una cella stretta e umida, con tre ordini di inferriate a una piccola finestra, del lungo periodo di reclusione, iniziato il 21 aprile 1791 e durato più di quattro anni, rimane testimonianza nell’Archivio di Stato di Pesaro.
Il 26 agosto 1795, Cagliostro moriva ufficialmente nella sua cella del carcere di San Leo, colpito da apoplesia. La notizia della morte di Cagliostro fu trasmessa a Roma dal conte Sempronio Semproni con la massima ufficialità: “Reco con questa mia umilissima alla E. V. la notizia qualmente nel giorno 26 dell’andante verso il mezzogiorno, fu colpito da forte apoplessia il rilegato Giuseppe Balsamo detto Cagliostro: per cui fu dalla guardia ritrovato affatto privo di sentimenti e cognizione. Inutilmente furono da professori posti in opera i rimedi dell’arte per scuoterlo dal suo letargo, all’applicazione dei quali fu trovato insensibilissimo. Infruttuosi egualmente riuscirono gli sforzi del parroco e dei sacerdoti per ottenere dal moribondo un qualche segno di ravvedimento. In tale stato sopravvisse fin circa le ore quattro della stessa sera in cui dovette cedere alla violenza del male e spirò. Per istruzione del nostro Mons. Vescovo è stato questi (per essere sempre vissuto con massime decise da vero eretico, né avere mai dati segni di respicenza) sepolto fuori di luogo sacro e senza formalità alcuna ecclesiastica”.
Del suo corpo non si è più saputo nulla, così come del corpo di Serafina.
Si può obiettare: se Cagliostro era tanto potente; sapeva leggere il futuro, spezzava il male, possedeva davvero la conoscenza, perché non ha infranto le mura della sua cella, non ha disperso i suoi persecutori, non ha raggiunto la libertà?
E’ la stessa domanda che le guardie romane porsero al Cristo sulla croce: “ Se davvero sei il figlio di Dio, perché non scendi di là? Perché non chiami un esercito di angeli a liberarti?”
Di certo possiamo dire che fu un personaggio scomodo in vita e ancor più scomodo da morto al punto che la tomba venne occultata così bene da essere sfuggita a tre secoli di ricerche ed a qualsiasi morboso tentativo di individuazione.
Una delle profezie meno note di Cagliostro è quella che riguarda la propria morte. Già, egli disse, in una specie di testamento spirituale e lirico, che attendeva il momento, in cui, “viaggiando dall’Oriente all’Occidente avrebbe raggiunto il luogo ove la rosa doveva fiorire sulla croce: Roma la sede del proprio sacrificio”.
Tra le tante leggende si è anche detto che Cagliostro non è morto nella sua cella di San Leo, ma sia riuscito a fuggire, e le guardie, per evitare a loro volta la condanna, hanno preso il cadavere di un'altra persona, che era morta qualche giorno prima in modo che, l’avanzato stato di putrefazione, avvantaggiati anche dalla stagione estiva, riuscisse a confonderne l’identità.
A suffragio di questa tesi esistono delle lettere, scritte da Cagliostro dopo la sua data ufficiale di morte, ad amici della massoneria egiziana di Lione. In una di esse si parla di un terremoto. La terra tremò nel Montefeltro scuotendo anche San Leo. Ma questo avvenne dopo la data di morte di Cagliostro. Contribuisce a questa ultima tesi anche la certezza che l’atto ufficiale di morte sia un falso: scritto in latino classicheggiante, ben diverso da quello usato per atti simili nel libro dei morti, ha anche la calligrafia diversa dalla solita.
La leggenda che aveva accompagnato la sua fascinosa vita si impossessò anche della morte: dai poco attendibili racconti sulla sua presunta scomparsa, giunti fino ai giorni nostri, è possibile intravedere il tentativo riuscito di rendere immortale le maliarde gesta di questo attraente personaggio. Ma tra le tante leggende che accompagnano la morte di Cagliostro l’episodio più inquietante sembra essere accaduto nel 1797, quando la fortezza di San Leo si arrese onorevolmente all’Armata della Repubblica Cisalpina guidata dal generale Dombrowski che la occupò in suo nome. Per celebrare l’impresa, il generale concesse la libertà ai reclusi presenti nella fortezza e sembra che essi, unitisi ad alcuni soldati, cominciarono a scavare nel luogo in cui Cagliostro era stato sepolto.
Rinvenuti i poveri resti, si servirono del teschio per brindare alla riconquistata libertà.
Il macabro festeggiamento venne raccontato da un testimone oculare, il nonagenario Marco Perazzoni, morto nel 1882.
Il Perazzoni, interrogato dal prelato Oreglia di S. Stefano, dichiarò: “Quando il conte morì io avevo sette anni e mi ricordo benissimo il suo seppellimento. Il cadavere, tutto vestito, posto sopra una mezza porta di legno, venne portato a spalla da quattro uomini, i quali, usciti dal castello, scesero verso la spianata. Essi erano affaticati e sudavano (era di agosto) e, per riposarsi, ad un certo punto deposero il cadavere sopra il parapetto di un pozzetto, che ancora esiste, e andarono a bere un bicchiere di vino. Poi tornarono, ripresero il tragitto e giunsero al luogo del seppellimento. Io -che ero tenuto per mano da un mio parente- seguii il triste e misero convoglio che, non assistito da nessun sacerdote, assumeva un sinistro carattere di diabolica desolazione. A quella vista i rari passanti si allontanavano frettolosi facendosi il segno della Croce. Scavata la fossa, vi calarono il morto: sotto il capo misero un grosso sasso e sul viso un vecchio fazzoletto, quindi lo ricopersero di terra. Quel vecchio fazzoletto rappresentava la pietà umana. Qualche anno dopo vennero i polacchi ad occupare il forte e dettero la libertà ai condannati, che scavata la fossa insieme a dei soldati, presero il cranio del Cagliostro e vi bevvero dentro, nella cantina del conte Nardini di San Leo
Nessuno però è in grado di assicurarci che i soldati cisalpini non si siano sbagliati. Essi credevano di rendere onore a Cagliostro, ma altri ancora in precedenza dissero che Cagliostro era morto nelle prigioni di Castel S. Angelo di Roma. La cosa può anche essere verosimile specie se vi furono prolungate torture.
Nella chiesa della Minerva, alla presenza del Papa, per il solenne atto di abiura, il condannato era in ginocchio con un velo nero sulla testa. Avrebbe potuto non essere lui e qualche altro disgraziato, già condannato a morte, perché non avrebbe dovuto prestarsi a recitare la parte d’altri, ottenendo in cambio la commutazione della pena?
Ma quale che sia stata la fine di Cagliostro non ha poi grande importanza.
Cagliostro è stato sepolto tra il popolo, l’unico che lo abbia compreso e amato, l’unico che non lo ha mai dimenticato.
Quel popolo che ancora oggi mantiene stupendamente viva l’immagine del suo amico, di quel conte che riempì di sè un’epoca.
Una figura che resta impareggiabile.
Un grande perseguitato, una vita avventurosa e meravigliosa.
Una parabola che non ha inizio e non ha fine: nessuno conosce veramente l’origine di Cagliostro, così come nessuno oggi conosce la sua vera fine.

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Bibliografia

P.Carpi - Cagliostro – Il Taumaturgo;
P.Carpi - Cagliostro – Il maestro sconosciuto;
R. Gervaso – Cagliostro;
G. Abramo – Cagliostro (Hiram 1/2009);
P.Cortesi – Cagliostro (Maestro illuminato o volgare impostore?);
C. Gentile - Il mistero di Cagliostro

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